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Iran, guerra e vita a Teheran con gli occhi di Gohar Dashti

Intervista di Katia Cerratti

“Guerra e vita sono inseparabili, procedono di pari passo, convivendo simultaneamente e in parallelo”. Così, Gohar Dashti, fotografa e artista iraniana di fama mondiale, descrive la profonda visione della vita, intensa ed emotivamente coinvolgente, che sta alla base delle sue opere e attraverso la quale “narra visivamente” quel difficile contesto che è l’Iran.  E’ la visione di chi la guerra l’ha vissuta. Gohar Dashti nasce infatti ad Ahwaz nel 1980, durante il conflitto Iran-Iraq, 1980-1988, e soltanto un anno dopo la Rivoluzione islamica del ’79, eventi che hanno segnato profondamente il destino di un Paese e quello di un popolo. Laureatasi alla Fine Art University di Teheran nel 2003, l’artista si è poi specializzata in un Master in Fotografia nel 2005 e ha realizzato mostre personali e di gruppo in tutto il mondo. L’ultima personale, Inside Out, è stata esposta in Italia, dal 24 ottobre 2013 al 24 gennaio scorso, presso le Officine dell’Immagine a Milano, durante la quale ha presentato in esclusiva il suo ultimo progetto Iran,Untitled, un delicato sguardo sulla vita che scorre alla periferia di Mashhad, a mille chilometri da Teheran. Nel 2012 l’artista realizza la serie Volcano, immortalando un apparente stato di ilarità dei personaggi, che in realtà cela un disagio incarnato da una strana figura che stride con la loro giocosità.

Una bambina che dorme su un tavolo e accanto a lei un telefono da cui scorre sangue, è, forse, la foto più emblematica di Slow Decayla serie realizzata da Gohar nel 2010, che rende intensamente  la percezione del dolore intimo e della sofferenza. Nel 2009 realizza  Me, She and the others, e nel  2008 Today’s Life and War, in cui, anche i più normali e semplici atti della vita quotidiana di una coppia sono in pericolo, minacciati dalla presenza di militari e di carri armati. Malgrado lo scenario inquietante, la coppia resiste e la vita va avanti. Di grande importanza socio-culturale la mostra di gruppo She Who Tells a story: Women from Iran and the Arab World, esposta al Museum of Fine Arts, Boston (USA) fino al gennaio scorso, in cui la Dashti, insieme ad altre famose artiste, rappresenta la condizione delle donne nel mondo arabo. Da Boston a Teheran, passando per Tokyo e Taiwan, Gohar Dashti punta l’obiettivo su scene di vita in cui la storia, fatta di guerre e conflitti sociali, pesa sulla vita privata degli iraniani, fornendo non soluzioni ma preziosi spunti di riflessione. Con lei abbiamo approfondito alcuni aspetti del suo percorso artistico.

 

Perché hai scelto la fotografia per raccontare visivamente l’Iran?

Gohar 6Ho iniziato con la fotografia a scuola. Mentre studiavo grafica al college, ho preso un paio di lezioni di fotografia. Proprio in quel momento ho deciso di perseguire sia la strada della regia che della fotografia. Così ho cambiato la mia facoltà in fotografia e ho concluso i miei studi universitari magistrali alla Art University di Teheran. Giocare con le complessità del tempo, essendo sia nel passato che nel presente, richiede un certo grado di nevrosi in fotografia, che mi ha colpito profondamente e mi ha convinto a utilizzare la fotografia come mezzo per produrre la mia arte. Penso che la fotografia sia solo un mezzo come la pittura o il video. Non importa quale mezzo scegli, ciò che conta è come utilizzi questo mezzo per raccontare le tue  esperienze con l’ambiente circostante.

Due storici eventi, la Rivoluzione del ’79 e la guerra Iran-Iraq, hanno accompagnato la tua esistenza. Come hanno inciso sulla tua arte e sulla tua visione della vita?  

sow decay

Sono nata nei primi anni della Rivoluzione islamica e ho mosso i primi passi della mia infanzia durante la sanguinosa guerra Iran-Iraq. Insieme con la mia famiglia, vivevo ad Ahwaz che era vicino all’Iraq, in tutto il periodo della guerra, sono quindi  cresciuta con la guerra. Crescere durante la guerra, ha insegnato a me e alla mia generazione il vivere in costante stato di pericolo. Tutto è un ricordo di guerra. Il profondo impatto che la guerra ha avuto sulla mia vita e sulla mia generazione è rimasto fino ad oggi. Guerra e vita sono inseparabili, procedono di pari passo, convivendo simultaneamente e in parallelo.

La vita privata esposta all’aperto, in pubblico, in un paesaggio desolato, tra filo spinato e carri armati, dove umori e dolori interiori sembrano essere sospesi in attesa di una via d’uscita. I soggetti delle tue foto sono rassegnati alla immobilità o sono, invece, determinati a resistere?

 foto sposi GoharMostro una coppia in una serie di attività quotidiane: fare colazione, guardare la televisione, e celebrare il loro matrimonio. Anche se non esprimono visibilmente emozioni, l’ uomo e la donna incarnano il potere della perseveranza, della determinazione e  della sopravvivenza.

 In una recente intervista, hai detto che non sei un attivista, ma solo un artista. Che cosa significa essere “artisti ” nella complessa realtà dell’Iran ?

Quando si crea un’opera d’arte, mi sembra sempre di avere domande riguardanti i contrasti storico-culturali e le restrizioni sociali evidenti negli stili di vita degli iraniani di oggi, con particolare attenzione alla condizione dei giovani e delle donne. Anche se, come artista, non offro mai soluzioni per questi problemi all’interno dei miei lavori, ma cerco di sollevare tali questioni attraverso un’enfasi particolare delle realtà sociali del mio paese.letto gohar

“Untitled Iran” è stato in mostra in esclusiva a Milano, ma non è ancora stato presentato in Iran. Lo esporrai anche nel tuo paese?

A Milano è stata la prima mostra della serie Iran Untitled. Poiché avevo una personale a Milano e avevo finito la mia nuova serie, è stato davvero bello vederli anche in questa mostra. Certo che lo esporrò anche in Iran.

Today’s Life and War, Slow Decay, Volcano, Iran, Untitled, e Me, She and the others. Quale di queste opere ti rappresentano di più rispetto alle altre?

È una domanda molto difficile. Ogni opera d’arte è un riflesso di esperienze sociali e personali dell’artista. Io descrivo semplicemente la mia vita nelle diverse fasi politiche, sociali e culturali. In generale, penso che Slow Decay mi rappresenti più di altri.