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In Turchia, cresce il sentimento anti-arabo

Di Pinar Tremblay. Al-Monitor (21/08/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Lo scorso mese, Gaziantep e altre città turche al confine con la Siria sono state scenario di diverse proteste dallo slogan “Non vogliamo i siriani”. Le manifestazioni hanno portato a scontri con la polizia, assalti fisici e vandalismo contro negozi gestiti da siriani. Tra gli slogan inneggiati: “Non dormite cittadini, riprendetevi la vostra città” e “Noi siamo gli abitanti di questa città”. I media sono pieni di storie di siriani, iracheni e yazidi disperati, ma non si parla quasi mai del crescente sentimento anti-immigrati o delle sempre maggiori scene di violenza.

Dopo tre anni di conflitto senza fine in Siria e in Iraq, i cittadini turchi iniziano a realizzare che i rifugiati sono lì per restare. Gli inviti di Erdogan “alla pazienza e all’ospitalità per i nostri fratelli che presto torneranno in Siria” non sono stati accolti da molti.

Ahmet, un negoziante di Gaziantep, ha dichiarato: “Li chiamano ‘ospiti’. Ok, ma per quanto tempo? Condividiamo con loro il nostro cibo e i nostri vestiti e il governo gli da la priorità su tutto. […] Cosa abbiamo in cambio? Paghiamo prezzi più alti su tutte le merci”.

Altri sembrano essere d’accordo con Ahmet. Ai loro occhi, gli ‘ospiti’ siriani vivono in Turchia una vita sovvenzionata dal governo, mentre i cittadini devono pagarne il costo. Cemo, un macellaio vicino di Ahmet, ha detto: “Guardati intorno, cosa vedi? Tutte queste insegne in arabo e il governo li paga 1.000 lire [circa 450 dollari] al mese. Dicono che scappano dalla guerra nel loro Paese. Beh, mi dispiace. Noi siamo rimasti nel nostro Paese durante la guerra e abbiamo combattuto”.

Dopo diversi scontri tra i rifugiati siriani e i cittadini locali, compresi alcuni omicidi, il sindaco di Gaziantep ha deciso di trasferire centinaia di famiglie siriane fuori dalla città. Lo scorso 20 augusto, i negozianti siriani che avevano insegne in arabo sono stati messi in guardia dalla municipalità affinché obbedissero alle regole turche in merito.

Sono queste le politiche migliori da seguire? Mithat Kaynat, rispettato opinionista, ha dichiarato: “Trasferire 400 famiglie da Gaziantep o alter città contro la loro volontà è arrendersi alla tensione e al razzismo crescenti”. Se altri residenti della zona iniziano a protestare, dove andranno i rifugiati siriani? Tali politiche non promuovono tacitamente la xenofobia?

Hanife Cetin, esperto di relazioni internazionali, ha detto: “Dall’inizio della guerra civile in Siria nel marzo 2011, secondo il ministero degli Interni turco sono 1.385.000 i siriani entrati nel Paese”. Cetin ha sottolineato che questo numero indica solo coloro che sono stati registrati, spiegando: “Il governo turco ha preparato campi per circa 100.000 ‘ospiti’ e una volta che il numero è inaspettatamente lievitato, la cosa è sfuggita di mano. In alcune città, come Kilis, la popolazione ospitata è maggiore di quella locale. Né le strutture della città, né le persone stesse sono preparate a gestire un tale afflusso”.

È di cruciale importanza notare che all’inizio degli anni 2000 la Turchia si è trasformata da Paese di emigranti a Paese di immigrati. Nel 2013, la Turchia era il quinto Stato al mondo per richieste di asilo, ospitando più rifugiati che qualsiasi altro Stato europeo. Intanto, le atrocità della guerra civile siriana sono trasbordate, con combattenti jihadisti diretti in Siria che creano scompiglio nelle piccole città di confine.

La xenofobia non è un fenomeno recente in Turchia. Decenni di ricerche hanno rivelato una persistente tendenza xenofoba. Sebbene le cifre cambino leggermente di anno in anno, si può concludere che solo una minoranza di cittadini turchi accettano di avere come vicini cristiani, ebrei, atei o omosessuali.

Talat Yesil, caporedattore del la rivista settimanale Ekonomist, ha dichiarato: “Come nativo della città di Hatay, trovo il concetto di inimicizia verso gli arabi duro e ingiusto. A Hatay, molte persone capiscono l’arabo e sono felici di accogliere i rifugiati. […] Tuttavia, in altre città la barriera linguistica potrebbe anche essere una causa di violenza”.

Oggi in Turchia, l’immagine del turista arabo ricco, spendaccione e “fratello musulmano” viene rimpiazzata da un’attitudine xenofoba nei confronti degli immigrati e dei rifugiati arabi (leggi siriani) e degli immigrati in generale.

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