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Il teatro in Siria sta cambiando forma

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di Ammar al-Maamoun. Al-Arab (17/01/2014). Traduzione di Claudia Avolio.

In Siria i giovani che si dedicano al teatro stanno creando nuovi spazi per le loro performance, svincolati dalle istituzioni tradizionali e dai loro monopoli. Pensiamo ad esempio a ciò che sta avvenendo a Kafr Sousa, nello Sham City Centre, dove è stato messo in scena un massacro di bambini: i piccoli erano stesi a terra, colorati di rosso con del sangue finto, e la gente intorno a loro era sopraffatta dallo stupore. L’obiettivo era mettere in risalto una presenza simbolica di fronte al potere della politica, ed il fare affidamento sulla propria creatività, piuttosto che sull’essere assenti.

Attraverso la presenza di quei bambini – che nella rappresentazione erano morti – la performance crea uno squilibrio nell’ordine delle cose, ed è un invito a demolire gli schemi e a farsi mezzo per il grido e la resistenza. Mezzo, anche, di espressione politica che riporta alla vita la voce degli oppressi e dei marginalizzati, perché restino in piedi di fronte al potere e ai suoi simboli. Le performance sono un impulso del momento, non sono eguagliabili, non si ripeteranno mai uguali due volte. Come il post-modernismo, adottano l’instabilità e il rifiuto della stabilità.

Perciò il momento della performance è il momento della creazione, che amplifica il rapporto corpo-parola col resto del mondo, e avvia un’esperienza diretta con gli eventi. Questo è senz’altro il caso dell’esperienza di Wamdda, che ha dato vita a ciò che tra i performer è noto come “happening“: all’improvviso, tra gli eventi del quotidiano, in una strada o in un mercato, musicisti e cantanti irrompono sulla scena offrendo un momento artistico che porta con sé una fisionomia teatrale svanita poco dopo, al ritorno della normalità.

La fondatrice di Wamdda, l’attrice Nagham Na’isa, dice al riguardo: “Il progetto ruota attorno all’arte del sentire il momento, toccando i cuori e gli animi della gente per la strada: la loro vita si basa su momenti di morte permanente, è la vita con tutto quel che questa parola porta con sé tra pesi e valori”. Il ritorno al corpo – il criterio più importante della performance artistica – lo vede plasmarsi in origine, materia ed obiettivo della performance stessa. Il corpo è immerso in contesti inusuali per il concetto di teatro, e ne è un esempio il lavoro di Omar Bakbook che ha fondato la troupe Mayas, con cui ha presentato numerose opere nei caffè di Damasco.

In quei caffè, Bakbook ha rappresentato anche il suo tentativo di suicidio, con l’uso di un coltello vero, davanti agli spettatori che sono diventati parte integrante della finzione scenica al punto che alcuni credevano fosse reale. Una volta lasciato cadere il coltello, Bakbook spiega: “Desideravo anzitutto fare qualcosa per mia moglie Mayas, morta in un tragico incidente. Inoltre, stavo lavorando sul tema del suicidio e sul discuterne in modi estremi, così ho deciso che avrei sperimentato io in prima persona la scena, per non spezzare il legame con la realtà”.

Le performance eliminano le regole tradizionali, venendo a dipendere dalle visioni irripetibili legate all’individuo: è la presenza scenica, infatti, la premessa costante di ogni lavoro teatrale. La presenza del corpo è vissuta come criterio per stare nel mondo e per intensificarne l’esperienza. Così il corpo restaura i suoi ricordi e può offrirli al suo pubblico.

Ecco il video di Wamdda Kimawiya, flashmob svoltosi pochi giorni dopo l’attacco chimico nella Ghouta

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