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Il sostegno di Riyadh alla rivolta siriana

Senza Titolo - Gesso e terre su legno. Gloria Dati

L’opinione di Al-Quds al-Arabi (29/5/2012). Traduzione di Carlotta Caldonazzo

Il popolo saudita segue da vicino le vicende siriane. Alcuni schierandosi dalla parte di chi vuole le dimissioni del regime per diverse ragioni, tra cui la rivolta contro la dittatura, la confisca delle libertà e l’oltraggio compiuti dal regime ai danni dal popolo da oltre 40 anni per colpire il dissenso. Altri invece vogliono fermare le violenze e lo spargimento di sangue. Altri infine considerano la situazione da punti di vista puramente confessionali.

I media sauditi, in particolare l’emittente Al Arabiya, sono completamente allineati con l’opposizione siriana e invocano l’intervento straniero sul modello di quanto accaduto in Libia come unica soluzione alla crisi e unico mezzo di protezione per il popolo siriano dalle brutalità di cui è accusato il regime. Una posizione che riflette la linea politica ufficiale di Riyadh, al punto che il ministro degli esteri, il principe Saud al-Faysal, ha messo da parte la tradizione saudita di attendismo e riflessione prima di adottare una qualsiasi posizione nelle questioni arabe, calde o fredde che siano. Al-Faysal infatto pochi mesi fa ha abbandonato irritato il vertice dei ministri degli esteri arabi di Tunisi, proclamando che armare l’opposizione è l’unico mezzo per proteggere i civili. Un gruppo di ulema del Regno ha risposto all’appello costituendo un comitato per raccogliere le donazioni in favore della rivolta siriana. Ribadendo in tal modo il suo sostegno, ha organizzato il punto di raccolta nella moschea. Fanno parte di questo gruppo nomi illustri come Ali al-Rubai, Salman al-Awda, Nasser bin Yahia al-Hanini, Adbulaziz al-Tarif, Ali Omar Badahdah e infine Mohammed al-Arifi, che ha pubblicato l’appello sulla sua pagina ufficiale nella rete sociale Twitter.

L’apparato della sicurezza interna saudita “inquirente” ha convocato tutti questi sheikh chiedendo loro non solo di interrompere tutte le donazioni, ma anche di firmare un impegno scritto a non riproporre in futuro questa iniziativa. In tutta risposta gli ulema hanno già annunciato di rispettare il patto sulle loro pagine nelle reti sociali.

Una posizione che sembra in contraddizione con la linea ufficiale delle autorità saudite a proposito della Siria. Come può dunque Riyadh fornire denaro e armi all’opposizione e all’Esercito siriano libero, sostenere l’intervento militare straniero e allo stesso tempo impedire ad alcuni suoi cittadini di donare denaro a questa rivolta come è successo, ad esempio, nel caso dei mujaheddine afgani negli anni ’80 o dei combattenti bosniaci negli anni ’90? Circolano interpretazioni pseudo-ufficiali, tra cui una secondo la quale le autorità saudite temono che i fondi raccolti con le donazioni finiscano nelle mani di soggetti indesiderati come al-qaeda. Un’altra sostiene invece che Riyadh teme che si arrivi al caosi finanziario, mentre una terza chiama in causa un monito degli Usa. È fuor di dubbio che questi sheikh profondamente rispettati dai sauditi hanno avviato la loro iniziativa in buona fede e con il proposito di sostenere chi ritengono meritare la vittoria. Perciò prenderanno tutte le dovute precauzioni affinché i fondi arrivino ai diretti destinatari.

Il problema risiede nell’indecisione dei capi politici sauditi rispetto alla crisi siriana, che risulta evidente nella reiterata ritrattazione delle dichiarazioni circa la fornitura di armi all’opposizione al regime di Damasco e nella proclamazione che l’intenzione di Riyadh non è di armarli direttamente ma di esortare ad armarli. Dunque è nell’interesse della monarchia saudita non assumere posizioni che destino l’ira degli Usa, ovvero che Washington supervisioni un’eventuale invio di fondi e armi all’opposizione siriana.

C’è chi sostiene nelle conversazioni private che se le autorità saudite sapessero che il regime siriano resterà al suo posto per più di un anno insisterebbero nel sostenere l’opposizione siriana, senza tuttavia appassionarsi per la democrazia in Siria o altrove nella regione. Se vogliono che il regime siriano cada è indubbiamente a causa della sua alleanza con l’Iran, Hezbollah e con l’attuale amministrazione irachena.