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Il revival islamista in Algeria

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Di Dalia Ghanem-Yazbeck. Your Middle East (29/6/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Stando ai sondaggi e alle ultime consultazioni elettorali, i partiti islamici in Algeria sono in declino, a causa della loro incapacità, da un decennio a questa parte, di presentare un candidato seriamente eleggibile e, ancor più grave, di cavalcare l’onda del disagio sociale. Divisi, disorganizzati, apparentemente privi di una strategia, partiti come El Islah, Ennahda e il Movimento per la Società e la Pace (MSP) restano di fatto ai margini della vita politica algerina. Persino la loro improbabile coalizione alle parlamentari del 2012, l’Alleanza dell’Algeria Verde (AAV), non è stata in grado di andare oltre i 48 seggi su 462, mentre alle amministrative dello stesso anno i risultati sono stati addirittura peggiori, con una vittoria in sole 10 delle 1541 municipalità.

Ciò non significa tuttavia che l’islam politico in Algeria sia tramontato, poiché si tratta esclusivamente di una ri-semantizzazione del concetto, con conseguente ridefinizione dei piani. Il vero islam politico, talvolta non scevro da derive radicalizzanti, si trova nelle organizzazioni “dal basso”, in ambito extraparlamentare, mentre la sua versione moderata si è accontentata del ruolo di custode della pubblica morale. Rinunciando all’attitudine assistenzialista che aveva permesso al Fronte Islamico di Salvezza (FIS) di guadagnare tanti consensi negli anni ’90, i partiti islamici si limitano a fare ostruzionismo sulle proposte di legge giudicate “troppo laiche”, spesso peraltro invano.

Alcune personalità all’interno dell’Alto Consiglio Islamico, il ministro degli Affari Religiosi e del Waqf, l’Associazione degli Ulema Musulmani Algerini (AUMA) e i tre partiti islamici fanno del loro meglio per accrescere la propria visibilità con prese di posizione eclatanti. Nel 2005, ad esempio, l’MSP, il Movimento per la Riforma Nazionale (MRN) e varie associazioni islamiche hanno hanno espresso fermamente il proprio dissenso sulla decisione del governo di eliminare Scienze Islamiche dal novero delle lauree, lanciando appelli a proteste di massa e gridando la “golpe laico” contro la fede genuina del popolo. Lo stesso anno, sono riusciti a bloccare solo alcuni degli emendamenti al Codice di Famiglia che avrebbero riconosciuto maggiori diritti alla donna nelle questioni familiari. Maggiore il successo nel 2006, quando l’MSP, sostenuto da altri partiti islamici, ha impedito la trasmissione di un varietà libanese, in quanto “contrario alle tradizioni e alla cultura algerine”. Così, due anni dopo, il muro contro muro di queste forze politiche ha condotto alle dimissioni del direttore della Biblioteca Nazionale Algerina, Amin Zaoui, “colpevole” di aver invitato il poeta siriano Adonis a un dibattito sul “peso della religione che schiaccia il pensiero degli Arabi”.

Da portatori della voce dei dannati della terra (sostegno ai poveri, ma anche capovolgimento di un regime corrotto), ruolo rivendicato in passato dal FIS, le formazioni islamiche moderate e parlamentari sono diventate i più ostinati rappresentanti delle frange più conservatrici della società. Religione a parte, hanno spostato il fulcro della questione sul piano morale, smettendo di rifiutare le logiche del “regime” nella sua totalità. In tal modo, si sono alienate il sostegno e la simpatia della base.

Il rischio è dunque che possano emergere movimenti e organizzazioni più o meno spontanei, dai connotati più radicali, portavoce di un islam più simile a quello costruito ad arte negli anni ’90 sul modello del wahhabismo saudita che al sentimento religioso della popolazione. In Algeria, come nel resto del mondo, inoltre, di fronte all’impoverimento di porzioni di società sempre maggiori e al fallimento della globalizzazione, c’è il pericolo che siano le fazioni estremiste (invece dei sani movimenti popolari) a portare avanti un nuovo internazionalismo degli oppressi contro gli oppressori.

Dalia Ghanem-Yazbeck è ricercatrice presso il Carnegie Middle East Centre di Beirut.

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