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Il regime ha armato i cristiani

il regime arma i cristiani siriani

Di Antonio Pampliega. El País (25/12/12). Traduzione di Alessandra Cimarosti.

“Uno, uno, uno, il popolo siriano è uno!” ripetono centinaia di voci all’unisono, ogni venerdì, nelle manifestazioni di Bustan Al-Qaser, quartiere a sud-ovest di Aleppo. “In Siria non ci sono mai stati problemi tra le varie confessioni religiose, abbiamo sempre convissuto in pace, rispettandoci reciprocamente; il regime ha iniziato una guerra sporca al fine di metterci gli uni contro gli altri, diffondendo paura”, afferma Marcel, una delle poche cristiane (solamente il 10% dei siriani professa questa religione) che si lascia vedere nelle manifestazioni contro al regime di Bashar el-Assad.

“Molti cristiani”, afferma Marcel con i suoi amici George e Alexander (hanno richiesto che la loro vera identità rimanga sotto anonimato), “hanno paura di unirsi alla rivoluzione a causa dei salafiti dell’Esercito Siriano Libero (Esl). Ci sono aggressioni, sequestri… stanno uccidendo lo spirito della rivoluzione”, si lamenta la giovane con la testa scoperta e una croce al collo. “Sono combattenti venuti da fuori, non sono siriani”, continua. “Abbiamo molti amici musulmani, sono persone incredibili, però abbiamo avuto problemi con i salafiti, hanno cercato di aggredirci”.

L’ONU nell’ultimo rapporto, ha messo in guardia riguardo al fatto che la guerra (composta dai ribelli, la maggior parte dei quali è sunnita, e dalle forze di Assad che appartengono alla minoranza alawita) potesse diventare una battaglia tra religioni. Più precisamente, questo sabato, uomini dell’Esl, secondo France Presse, avrebbero minacciato di attaccare le località cristiane di Marda e Al-Sqilbiya, entrambe ad Hama, se i suoi abitanti non avessero accettato di espellere i fedeli di Assad.

“Inizialmente, noi cristiani non volevamo sostenere la rivoluzione” afferma George, “perché avevamo paura che la Siria facesse la fine dell’Iraq o della Libia, con gli estremisti al potere”. “Però poco alla volta, ci siamo uniti”. “Sunniti, sciiti, cristiani”, aggiunge Alexander, “non importa la religione, vogliamo la libertà”. Marcel, George e Alexander sono l’eccezione della comunità cristiana di Aleppo (circa 100.000 persone). La maggior parte di essi rimane chiusa nei propri quartieri, protetta dal regime e cerca di uscire il meno possibile. “L’esercito ha collocato le proprie basi nei quartieri cristiani per usarci come scudi umani; l’Esl bombarda le sue posizioni, ma non tutti si accertano degli obiettivi. Ci sono stati vari morti e feriti nella comunità cristiana”, racconta Alexander, 22 anni e studente di ingegneria.

Nei quartieri cristiani di Sulemania e Azizia, l’Esercito ha iniziato ad armare i cittadini affinché si possano difendere dai ribelli. “La maggior parte dei cristiani rifiuta le armi, penso che siano state armate circa 200 persone, gli armeni le hanno accettate”, commenta George, 21 anni, studente di Medicina. Nella città di Aleppo, ci sono circa 60.000 armeni ubicati nel distretto di Al-Midan. La maggior parte sono fuggiti dalla Turchia, in seguito al genocidio del 1915. “Il regime li ha armati dicendo loro che avrebbero potuto essere massacrati come 100 anni fa. Molti appartengono a classi basse, non hanno studiato e non hanno un futuro. Non hanno nulla da perdere e per questo lottano contro i ribelli”, riporta questo giovane.

“Ci sono sequestri di cristiani e sunniti”, irrompe Marcel, “e dopo qualche giorno appaiono i loro cadaveri con le mani legate e con i segni di tortura. I shabiha (gli esecutori del regime) stanno facendo un gran bel lavoro, creando odio tra di noi”. Il 99% dell’Esl è formato dai sunniti. “L’Esl non è un esercito”, spiega Alexander, “è un movimento cittadino che ha preso le armi. Però l’inerzia dell’Occidente e la repressione del regime fanno si che ogni giorno ci siano sempre più radicali in Siria”, si lamenta.

La paura che la Siria diventi un nuovo Iraq e che gli attentati suicidi diventino qualche cosa di abituale è ciò che terrorizza i civili. “Non mi piacerebbe che la violenza settaria invadesse tutto il paese, perché allora non sarebbe più una rivoluzione, ma una guerra civile e questo non era l’obiettivo che ci eravamo prefissi”, afferma George. “La maggior parte dei siriani desidera la pace, invece chi ha le armi non lo desidera” prosegue il futuro dottore. “La nostra maggiore preoccupazione è che i paesi del Golfo diano soldi ai salafiti e ai radicali islamisti che hanno vincoli con Al-Qaeda, per far si che possano svolgere la loro particolare agenda”, spiega Alexander.

Una mezza dozzina di proiettili cadono vicini alla manifestazione. La gente corre terrorizzata cercando di mettersi in salvo. I giovani cristiani si salutano e si disfanno delle bandiere rivoluzionarie. “Viviamo in zone non libere, se le teniamo avremo problemi”.

http://internacional.elpais.com/internacional/2012/12/24/actualidad/1356372100_358010.html