Mediterraneo UE Zoom

Il partenariato europeo con il mare

Di Samir Aita. As-Safir (20/12/2014). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.

Dopo l’insediamento della nuova Commissione e l’elezione del nuovo Parlamento europeo, nelle capitali dell’Unione sono iniziate complesse discussioni per riplasmare le politiche di vicinato, tra cui il cosiddetto “Partenariato Euromediterraneo”. La difficoltà deriva dal fatto che il Parlamento europeo ha nuove competenze di controllo sulla politica della Commissione e che quest’ultima è diventata sensibile ai problemi della regione araba, a differenza della precedente.

È ormai abituale sentire responsabili europei annunciare il fallimento delle politiche di “partenariato” fondate sul processo di Barcellona del 1995, nel quadro della Conferenza di Madrid per la pace in Medio Oriente. Ma la questione non è nuova. Anche l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy l’aveva annunciato chiaramente quando lanciò il suo progetto chiamato “Unione per il Mediterraneo”. Il progetto è rimasto lettera morta perché lo strumento dell’Unione non permette a una parte del continente europeo, che si trova sulle sponde del Mediterraneo, di adottare politiche individuali soprattutto con i Paesi arabi che si affacciano su questo mare. Tuttavia, la prospettiva di “un’identità mediterranea” ha iniziato a creare una distinzione all’interno dell’Unione stessa.

Tale distinzione si accentua con l’aggravarsi della crisi di cui soffrono i Paesi europei mediterranei, come la Grecia, e con l’atteggiamento arrogante dei Paesi del nord che dominano le istituzioni europee, soprattutto quelle finanziarie, portando al salvataggio delle banche europee, ma non degli esseri umani. Così, oggi sembra chiaro che le politiche di “partenariato” e di “vicinato” abbiano fallito nell’affrontare il principale problema dei Paesi arabi mediterranei: “lo tsunami dei giovani”. Infatti, dei miliardi spesi in “aiuti” nessuna somma rilevante è stata utilizzata per creare occupazione e prospettive per quei giovani o per strutturare un “mercato del lavoro”.

Oggi iniziamo a sentire responsabili europei parlare del torto commesso quando a Barcellona è stata fatta una distinzione tra le politiche europee nei confronti dei Paesi arabi ad alta densità demografica, ovvero quelli mediterranei, e le politiche verso i Paesi del Golfo, alla stregua di una distinzione tra uomini e capitale con cui trattare separatamente. E ora si sente parlare di “un orientamento coloniale” da parte di alcuni Stati europei che ricorrono ai Paesi del Golfo e a Israele per trattare a livello militare o di intelligence con i Paesi arabi mediterranei e colpire le istituzioni di stato al fine di stabilire il loro controllo. Donde il desiderio dei parlamenti europei di riconoscere lo Stato della Palestina, di sostenere l’esperimento tunisino e di porre fine al bagno di sangue in Siria e in Libia e al sostegno implicito alle organizzazioni estremiste. Forse l’ambizione più forte è di mostrare la responsabilità diretta di alcuni Paesi europei in merito alla situazione in Libia e in Siria a causa della loro interferenza e del protrarsi di questo orientamento.

Il Partenariato Euromediterraneo è privo di significato perché è un partenariato tra un continente e il mare, ma sono gli uomini a soffrire oggi oltre questo mare. Stessa considerazione vale per le “politiche di vicinato” perché i Paesi dell’Europa mediterranea sono un partner di vecchia data e non dei vicini di quelli arabi sull’altra sponda del mare. Tuttavia, oggi viviamo nell’epoca del dominio del denaro e delle lotte tra le potenze che cancellano la storia.

Samir Aita è un economista membro del Forum democratico siriano e caporedattore di Le Monde Diplomatique – edizione araba.

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