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Il Mogamma e l’inferno della burocrazia egiziana

Articolo di Luca Pavone

6464780991_9e8bb14937_bIl Mogamma è l’incubo di ogni straniero, è un gigantesco mostro di cemento di oltre 11 piani che sovrasta piazza Tahrir, nel pieno centro del Cairo. E’ lì che bisogna andare per rinnovare il proprio visto, per richiedere la residenza o avviare le pratiche per un permesso di lavoro.

La zona di fronte all’ingresso è occupata da un esercito di venditori ambulanti (piazza Tahrir è ormai terra di nessuno da più di due anni) mentre l’interno altro non è che un intricato labirinto di corridoi (trasformati all’occorrenza in luoghi di preghiera quando il muezzin chiama) e migliaia di uffici e sportelli, la maggior parte dei quali senza insegne.

I poliziotti se ne stanno seduti a fumare (magari sotto la scritta No Smoking)e sorseggiare thè, i venditori di snack e merendine si aggirano senza sosta, c’è chi si offre di aiutare a sbrigare le pratiche in cambio di soldi, non c’è aria condizionata, solo qualche ventilatore. Africani, arabi, asiatici, europei e americani affollano quotidianamente il Mogamma, con i più esperti che mantengono la calma mentre i nuovi arrivati hanno spesso delle crisi di nervi.

Una volta individuato lo sportello giusto ci occorre: una copia della prima pagina del passaporto e del visto d’ingresso ottenuto all’aeroporto, una fototessera e una manciata di francobolli che vanno richiesti in un altro sportello. In mancanza di uno di questi documenti si deve scendere al piano terra (e perdere il posto nella fila),entrare in uno stanzino per farsi scattare una foto o farsi fotocopiare il passaporto, risalire e consegnare il tutto insieme ad un foglio nel quale si dovranno dichiarare dati personali e religione d’appartenenza.

Il nuovo visto sarà pronto e applicato sul passaporto dopo due ore (In Sha’ Allah!), durante le quali si può scegliere tra il rifugiarsi in qualsiasi caffè con l’aria condizionata oppure semplicemente mettersi a pregare affinchè il tuo passaporto non venga inghiottito dalle fauci del Mogamma, dove non ci sono computer, solo scaffali e scaffali di enormi cartelle polverose. Verso mezzogiorno un’impiegata iniziera a sbandierare i passaporti da dietro il vetro, urlando le varie nazionalità, arriva dunque il momento di farsi largo, riprendere il documento e fuggire via.

Perché parlare del Mogamma? Perché simboleggia quel sistema marcio ed intricato che è la burocrazia egiziana, un sistema radicato saldamente da decenni e decenni e cementato dalla corruzione che contribuisce all’impossibilità del paese nel guardare avanti. Altrettanti decenni passeranno prima che le cose vadano meglio, ammesso cha mai si cominci.