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Il Libano dopo l’esplosione: un nuovo afflato rivoluzionario e una minaccia per lo statuto di Hezbollah

Il Libano dopo l’esplosione: un nuovo afflato rivoluzionario e una minaccia per lo statuto di Hezbollah

di Redazione Elaph, (06/08/2020). Traduzione e sintesi di Francesca Martino

Beirut – Un’esplosione di dimensioni senza precedenti nella storia libanese si è verificata mentre la classe dirigente si trova a fronteggiare la rabbia e il risentimento popolare per la sua incapacità di porre rimedio alle crisi ripetute.

L’esplosione accelererà la caduta del governo e darà nuovo impulso alle proteste popolari rallentate dal propagarsi della pandemia e dal crollo economico o, al contrario, andrà a consolidare il potere sostenuto in primis da Hezbollah?

Quale l’effetto dell’esplosione sul governo? 

Il governo di Hassan Diab nato all’inizio dell’anno è stato descritto come un governo di esperti. Ben presto, però, è emersa l’influenza dei partiti al suo interno e in particolare quella di Hezbollah sostenuto da Teheran e dal partito suo alleato della Corrente Patriottica Libera guidato dal Presidente della Repubblica Michel Aoun. 

L’operato del governo, che non è ancora riuscito ad attuare le riforme urgenti poste come condizione dal FMI per ottenere gli aiuti internazionali, ha suscitato il malcontento della popolazione.

Il ministro degli Esteri nonché diplomatico esperto Nassif Hitti aveva rassegnato le dimissioni il giorno prima dell’esplosione infliggendo un ennesimo colpo al governo di Diab. Hitti ha giustificato la sua decisione citando l’impossibilità di svolgere le proprie funzioni e l’assenza di una reale volontà da parte del governo di implementare le riforme, lasciando  trapelare la presenza di più voci al suo interno che ne controllano l’operato.

Il disastro dell’esplosione ha contribuito a rompere l’isolamento diplomatico del governo di Diab che, contrariamente alla prassi, dalla sua nomina non ha ricevuto la visita ufficiale di nessun Paese. Nel frattempo, dall’estero hanno già iniziato ad affluire gli aiuti per cercare di sormontare la sciagura che finora è costata la vita a più di 150 persone e ha provocato almeno 5.000 feriti, decine di dispersi e oltre 300.000 sfollati.

Dopo la catastrofica esplosione causata, come confermato dal premier stesso, da 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, “in qualunque altro Paese il governo si sarebbe dimesso”, ha dichiarato a France Presse la direttrice del Centro di ricerca Carnegie per il Medio Oriente Maha Yahya, aggiungendo che “il solo fatto di stoccare nel porto di Beirut una tale quantità di nitrato di ammonio senza misure di sicurezza rappresenta una negligenza criminale”.

Tuttavia, all’ombra dell’acuta polarizzazione politica e del conflitto per il controllo del Medio Oriente che vede in prima fila Stati Uniti e Iran, gli artefici del governo libanese faranno di tutto per evitarne la caduta. 

Come ha dichiarato a France Presse il ricercatore e professore universitario Karim Bitar, “nonostante la rabbia generale, in questa fase è poco probabile che assisteremo alle immediate dimissioni del governo, perlomeno finché non emergerà un’alternativa chiara”, anche perché gli stessi avversari del governo sono oggetto di accuse da parte dei manifestanti e non godono affatto della loro fiducia.

Verso una ripresa delle proteste popolari?

Il ricercatore Faysal Itani, professore di relazioni internazionali a Beirut e a Parigi, ha scritto sul New York Times che “questa catastrofe dalla potenza eccezionale è, come sempre in Libano, il risultato di un business. La cultura della negligenza, della corruzione e delle accuse reciproche si è radicata nella burocrazia libanese col beneplacito di una classe politica nota per la sua inefficacia e il suo disinteresse verso il bene pubblico”.

Le proteste popolari dalle proporzioni inedite scoppiate lo scorso 17 ottobre e protrattesi per diversi mesi chiedevano le dimissioni dell’intera leadership politica, accusata di corruzione, sprechi e inettitudine. Le proteste si sono progressivamente calmate dopo la formazione del governo di Hassan Diab e l’inizio della pandemia, senza tuttavia spegnersi completamente ma trasformandosi in azioni simboliche davanti a luoghi come la Banca centrale del Libano e altre istituzioni statali. La mattina stessa dell’esplosione, alcuni manifestanti hanno cercato di entrare nella sede del ministero dell’Energia per protestare contro i tagli della corrente sempre più prolungati.

“Il virus ha offerto un periodo di tregua alla classe dirigente ma l’esplosione del porto di Beirut rischia di riaccendere la fiamma della rivoluzione. Dopo questo giorno, i libanesi saranno molto più determinati a esigere dei conti dalla classe politica corrotta fino al midollo”, ha aggiunto Bitar prevedendo “una seconda ondata di proteste molto più esacerbata, fino a scivolare nella violenza”.

Dal canto suo, Maha Yahya sostiene che “l’esplosione provocherà una nuova escalation delle proteste ma spingerà anche molti libanesi a lasciare il Paese per rifarsi una vita”.

Quale il futuro di Hezbollah?

Il Partito di Dio ha invitato i libanesi e tutte le forze politiche a “restare uniti e solidali” per superare questa dolorosa catastrofe. 

“In quanto parte intrinseca del sistema politico, anche Hezbollah sarà rimesso in discussione”, ha osservato Yahya, insistendo sulle accuse rivolte al Partito di Dio circa la sua implicazione nella gestione del porto o quanto meno in attività di contrabbando condotte attraverso il porto.

Hezbollah è considerato un attore chiave nonché la componente politica più forte, il cui disarmo – reclamato da Washington che lo considera un gruppo terroristico – è da tempo oggetto di controversia tra le forze politiche. Tuttavia, negli ultimi tempi, è aumentata la rabbia popolare nei suoi confronti, soprattutto dopo l’aggravarsi della situazione economica nel Paese.

Hezbollah deve affrontare una scadenza importante, poiché il Tribunale Speciale per il Libano avrebbe dovuto pronunciarsi venerdì 7 agosto sulla sorte di quattro membri del partito accusati di essere coinvolti nell’assassinio dell’ex premier Rafic Hariri avvenuto nel febbraio 2005, ma la seduta è stata rimandata al 18 agosto per rispetto delle vittime dell’esplosione.

Secondo Bitar, la sentenza solleverà senz’altro delle tensioni tra i partigiani di Hezbollah, i quali negano l’implicazione dei membri del partito nell’attentato, né riconoscono il Tribunale Speciale, e i sostenitori di Hariri che attendono questo momento da 15 anni.

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