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“Il genocidio degli Yazidi. L’ISIS e la persecuzione degli «adoratori del diavolo»” di Simone Zoppellaro

yazidi
Dal blog Con altre parole di Beatrice Tauro

Per genocidio si deve intendere il «tentativo riuscito» di un gruppo di potere politico, che tale sia de iure o de facto (non necessariamente uno Stato), di decimare con la violenza, fino a perseguirne l’estinzione, un gruppo minoritario e vulnerabile, di cui si ritiene impossibile o dannosa l’integrazione nel modello di società che un’altra minoranza egemone intende affermare”.

Partiamo da questa definizione per parlare del libro di cui ci occupiamo nel blog di oggi “Il genocidio degli Yazidi” di Simone Zoppellaro, edito da Guerini e Associati.

Le definizioni a volte appaiono indispensabili per inquadrare i fenomeni di cui si discute e mai come in questo caso è importante definire il termine “genocidio” per comprendere ciò che è stato perpetrato ai danni della popolazione yazida nell’agosto del 2014 ad opera dell’ISIS.

Innanzitutto siamo di fronte al primo libro edito in Italia sul tema del genocidio degli Yazidi, un’opera pionieristica che si è posta l’obiettivo di sollecitare anche nel nostro paese la riflessione e il dibattito su questo tema, per lo più ignorato.

Il genocidio degli Yazidi è la riprova che Auschwitz non è affatto superata, ma è divenuta al contrario, un paradigma del nostro presente” come a voler sottolineare che l’uomo purtroppo non solo non mantiene memoria del suo passato e delle atrocità commesse, ma a volte queste possono divenire fonte di ispirazione per la reiterazione di azioni altrettanto gravi. E’ ciò che è accaduto con la minoranza yazida, “una cultura millenaria, plurale e ricettiva, che ben sintetizza quel crocevia di religioni e culture che ha segnato la storia di questa culla della civiltà che è il Medio Oriente”.

Quello perpetrato dall’ISIS non è purtroppo l’unico genocidio ai danni degli Yazidi. Nella loro millenaria storia ne vengono annoverati numerosissimi, tutti protesi all’annientamento della loro identità religiosa e culturale. Sebbene definiti «adoratori del diavolo», gli Yazidi praticano una religione pacifica, contraria al proselitismo. E’ una delle più antiche religioni monoteistiche pur non rientrando nel novero delle religioni abramitiche, si basa sul culto dell’Angelo Pavone, una sorta di Satana privo di malvagità che rimanda ad antichi culti solari con una valenza fortemente positiva. Eppure questa idolatria di Satana diventa la base per le persecuzioni, l’equivoco che giustifica le violenze.

Ma quali sono state le cause del genocidio dell’ISIS? L’autore, nella puntuale e dettagliata ricostruzione storica, ci riporta alla caduta di Saddam Hussein nel 2003, quando l’Iraq precipita in un enorme vuoto di potere. Gli Yazidi, in quanto minoranza, pagano il clima di risentimento e di odio. A ciò si unisce lo scioglimento delle forze armate che porta insicurezza nel paese e fornisce milizie addestrate alla nuova forza che inizia ad imporsi, l’ISIS. Aderire alla nuova ideologia religiosa diventa la modalità di veicolare l’odio e la frustrazione della minoranza sunnita verso il nuovo corso. Gli Yazidi diventano così vittime del pregiudizio sociale e religioso, nonché facili capri espiatori, bersagli visibili ai sempre più affermati gruppi di matrice religiosa.

Ma è nell’estate del 2014, per l’esattezza dal 3 al 15 agosto, che gli Yazidi diventano il bersaglio degli uomini di Daesh.

Arriviamo quindi all’estate del 2014, al 3 di agosto. Un giorno infame e maledetto non solo per gli Yazidi, ma per il Medio Oriente e il mondo intero. Un dramma di queste proporzioni, come la storia ci insegna, non è mai individuale, ma infinitamente più grande, e ha risonanza universale. È un’epopea che investe, fra orrore e vergogna, chiunque – lontano o vicino che sia – venga a contatto con essa, anche soltanto nel racconto. Chiunque abbia il coraggio di non voltarsi dall’altra parte di fronte alla violenza compiuta nei confronti di migliaia dei suoi simili, che in nome di un’idea ritenuta «superiore» – in questo caso di ispirazione religiosa – vengono privati della loro umanità, e trasformati in creature sacrificabili in ogni momento, per puro arbitrio.”

3.100 Yazidi morti, 6.800 rapiti, in maggioranza donne e bambini, ridotti in schiavitù. Annientamento identitario, attraverso lo sterminio fisico e la riduzione in schiavitù sono gli strumenti utilizzati dagli uomini di Al-Baghdadi per punire gli Yazidi che, a loro modo di vedere, non meritano di vivere a meno che non si convertano all’Islam.

Numerose sono le testimonianze di coloro che sono riusciti a scappare e mettersi in salvo. Dei circa trecentomila Yazidi oggi dispersi nel mondo, circa la metà vivono in Germania, unico paese europeo che non ha girato il volto dall’altra parte di fronte al loro dramma. Anche Nadia Murad, candidata per il premio Nobel per la Pace, vive in Germania ed è qui che l’autore la incontra per intervistarla. Nel suo racconto la disperazione della giovane donna per la perdita di tutto ciò che le era caro, la famiglia, il villaggio, il suo popolo. “Oggi la cosa più importante per me è aiutare le ragazze che, come me, sono state rapite e hanno subito violenza, e chiedere alla comunità internazionale che soccorra coloro che sono ancora tenute come schiave. Sto lottando perché altri Paesi facciano come la Germania, che ha appena accolto oltre mille di loro. Sono appena stata in Canada per questa ragione. Chiediamo che queste vittime siano accolte e sia dato loro supporto psicologico e terapeutico, ma anche dignità, in modo che possano riprendersi dai traumi e dalle violenze subiti. Questo è ciò per cui sto lottando”.