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Il festival internazionale Kelem le-l Shabab e la poesia nella cultura egiziana

Articolo di Kawkab Tawfik.

kelem el-shebabNon c’è dubbio che se dovessimo indicare il genere letterario arabo per eccellenza, questo sarebbe la poesia. Festival poetici attiravano a Mecca e nei principali centri economici dell’Hijaz centinaia di persone ancor prima della venuta dell’Islam, ed ancora oggi si tramandano oralmente le poesie di Imru al-Qays e di al-Mutanabbi come elementi centrali del patrimonio culturale arabo.

Il ruolo fondamentale della parola come strumento di trasmissione della cultura e del sapere ha continuato ad esercitare il suo primato anche successivamente, con l’avvento dell’islam, dove infatti la preghiera ed il rapporto con Dio avvengono attraverso la recitazione ad alta voce della Sua parola, il Corano.  Ebbene, fino ad oggi la poesia viene considerata un genere letterario superiore agli altri accompagnando la società egiziana, ed araba in generale, nelle fasi più importanti della sua storia, soprattutto in questi anni di “rivoluzioni” e attivismi politici.

In questo contesto si inserisce il progetto Kelem le-l Shabab – Poesia in Concerto, un festival internazionale di poesia promosso dall’Istituto Italiano di Cultura al Cairo e dall’Unione Europea, che ha raccolto centinaia di giovani poeti provenienti da tutto l’Egitto. Il festival, tenutosi al Cairo tra il 3 ed il 7 novembre in diverse sedi del patrimonio storico ed architettonico della città, ha visto anche la partecipazione di diversi poeti internazionali, come il ceco Bohdan Blahovec, il tedesco Frank Kloten, l’italiano Dante Marianacci ed altri; oltre che numerosi poeti arabi di fama internazionale tradotti in diverse lingue tra cui l’italiano, come l’egiziano Ahmed Abdel Muti Hegazy, pioniere del “movimento del rinnovamento poetico” ed il palestinese Marwaan Nazih Makhoul, le cui opere sono state riadattate in numerose canzoni e film.

I temi trattati sono certamente quelli universali, come amore, odio, dolore, ma anche altri, espressione della società egiziana e delle sue caratteristiche. Ecco che leggiamo di politica, religione, emigrazione ed alienazione: questi poeti ci parlano dei cambiamenti della loro società, della rivoluzione, della dittatura. E se da un lato ascoltiamo in sottofondo l’eco della profonda tradizione araba, dall’altro la lingua usata è innovativa. Quasi il totale dei poeti non scrive o recita in arabo classico, come vorrebbe la tradizione, ma in ‘ammiyya, cioè nel loro dialetto locale. Ed il linguaggio in dialetto saidy (dell’Alto Egitto) o in dialetto cairota ne accrescono l’espressività e la ricchezza linguistica, senza contare la forza identitaria ed unica di questo festival poetico.

Paolo Vanino, Project Manager di Kelem le-l Shabab, definisce il discorso poetico come lo specchio al quale ogni giusta società si debba guardare; la certezza nella forza della parola è finalizzata allo scambio ed al dialogo, dove le singole emozioni ed i singoli pensieri diventano lo spirito dell’umanità intera. E proprio questo è stato lo spirito di Kelem le-l Shabab.