Turchia Zoom

Il dilemma della Turchia è il dilemma di Erdogan

Di Murat Yetkin. Hurriyet Daily News (11/09/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Mercoledì scorso, mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan incontrava il presidente della Commissione dell’Unione Europea Donald Tusk, il ministro agli Affari Europei Ali Haydar Konca, deputato del Partito Democratico dei Popoli (HDP), era con una delegazione in viaggio verso Cizre, vicino al confine iracheno. Nel gruppo, guidato da uno dei leader dell’HDP Selahattin Demirtaş, c’era un altro deputato dello stesso partito, il ministro dello Sviluppo Müslüm Doğan. Tutti costretti a raggiungere Cizre a piedi, visto che le forze di sicurezza hanno impedito alla delegazione di entrare in città in macchina. Nella città intanto è stato prolungato il coprifuoco imposto lo scorso 4 settembre, inizialmente per una settimana, ma resta il paradosso di un ministro degli Interni che impedisce ad altri due ministri del governo di guidare le proprie automobili in una città del Paese. Come se non bastasse, mentre i rappresentanti dell’HDP erano in viaggio, Erdoğan, parlando con Tusk, li accusava di sostenere “i terroristi”, in riferimento al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), chiedendo loro di scegliere tra la democrazia e il terrorismo.

Un assurdo che va ad aggiungersi alla controversa situazione politica che si è creata dopo le elezioni parlamentari del 7 giugno. Il Partito Giustizia e Sviluppo (AKP, di cui fanno parte sia Erdoğan che il primo ministro Ahmet Davutoğlu), avendo perso la maggioranza assoluta dopo tredici anni di egemonia incontrastata, avrebbe dovuto formare un governo di coalizione con uno dei tre partiti che hanno ottenuto un numero significativo di seggi, ovvero l’HDP, il Partito Repubblicano del Popolo (CHP) e il Partito Movimento Nazionalista (MHP).

Ma le trattative con i rispettivi rappresentanti sono fallite, anche perché Erdoğan ha preferito indire nuove elezioni e nel frattempo rispettare formalmente i risultati delle parlamentari di giugno costituendo un “governo temporaneo”, cui né CHP né MHP hanno voluto prendere parte. Quindi, il presidente, che non intende cedere sul suo progetto presidenzialista, si trova ora a tenere le redini del paese insieme all’HDP, partito filocurdo, in un momento in cui la questione curda è divenuta cogente.

Nondimeno, invece di cogliere l’occasione per preparare una pacificazione, Ankara ha lanciato una campagna aerea contro le postazioni del PKK in Iraq (malgrado l’importanza dei guerriglieri curdi nel contrastare i cartelli del jihad di Daesh/ISIS). Inoltre, proprio quando sarebbe necessaria un’immediata ripresa del processo di pace con il PKK e in un momento in cui un accordo con l’HDP potrebbe essere la soluzione ideale, Erdoğan da un lato condanna gli attacchi contro le sedi del partito filocurdo da parte di gruppi di estrema destra (alcuni anche simpatizzanti dell’AKP), dall’altro ne fa uno dei bersagli privilegiati del suo furore accusatorio.

Convinto che a costargli la maggioranza assoluta alle ultime elezioni parlamentari sia stato proprio il processo di pace, il presidente turco ha dunque riacceso il conflitto, dopo che le sue remore a formare una coalizione con un altro partito avevano infranto la speranza della minoranza curda di contare su una maggiore rappresentanza in parlamento. Un clima certamente non ideale per tornare alle urme.

Murat Yetkin è opinionista di Hürriyet Daily News.

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