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I veri alleati di Assad

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Come è possibile che il regime di Assad sia ancora in piedi nonostante fosse sul punto di crollare nel 2013?

Di Mohammad Abu Rumman. Alaraby (10/07/2018). Traduzione e sintesi di Stefania Schiavi.

In un articolo di qualche giorno fa pubblicato su Haaretz il giornalista Zvi Bar’el ha scritto che Israele non è per nulla contrario alla sopravvivenza del regime di Assad in Siria: può darsi che questa fosse la posizione israeliana fin dall’inizio? Sin dal suo scoppio, la rivoluzione siriana ha generato infatti scetticismo in Israele, più che altro per le sue possibili conseguenze, ad esempio l’incognita dell’eventuale “successore” di Assad in relazione alle alture del Golan, che fanno da confine tra i due Paesi e che sarebbero probabilmente diventate territorio di scontro con un sostituto di matrice islamica; in più, anche la prospettiva del caos interno in Siria sarebbe stato motivo di preoccupazione per la sicurezza di Israele.

Allo stesso modo il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha più volte minacciato il regime di Assad, ma non ha mosso un dito di fronte all’uccisione di personalità importanti del suo movimento purché il “grande bottino”, cioè la Siria, finisse nelle sue mani.

“Il giorno dopo Assad”, cioè le conseguenze di una sua eventuale caduta, è stato usato come pretesto da tutte le parti in gioco pur di mantenere una certa dose di potere. L’ex presidente statunitense Barack Obama si era scagliato duramente contro il regime siriano e aveva minacciato la fine di Assad, ma gli Americani non si sono mai mossi in tale direzione perché l’uscita dall’equazione del presidente siriano sarebbe avvenuta senza un piano preciso per il periodo successivo.

È vero che le parti coinvolte, sia internazionali che regionali, hanno sostenuto ed equipaggiato l’opposizione armata, ma l’hanno fatto per acquisire posizioni d’influenza e per proteggere i propri interessi: nessuna di loro ha pianificato seriamente l’abbattimento del regime di Assad. Perché?

In un modo o nell’altro c’era un “veto” americano contro l’abbattimento di Assad a causa dello spettro di ciò che accadde in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein e dell’amara esperienza libica. Insomma, la mancanza di una pianificazione per la fase post-Assad ha reso la sua sopravvivenza il male minore ed è per questo che Obama ha fatto un passo indietro sull’attacco militare pianificato per il 2013.

Dal libro “Lettere dai pesci”, che racconta l’intervento militare iraniano in Siria, risulta chiaro che il regime di Assad era sul punto di cadere nel 2013, ma ciò che non viene detto è che le parti in gioco non erano pronte per questo scenario che perciò è stato rimandato.

Infine, l’intervento di Daesh nel conflitto ha trasformato il regime siriano in un regime debole senza più potere decisionale, mentre il futuro del Paese è praticamente nelle mani di Russi, Americani, Iraniani e Turchi.

Mohammad Abu Rumman è ricercatore presso il Centro per gli Studi Strategici dell’Università di Giordania e si occupa di pensiero islamico, riforme politiche e cambiamento democratico nel mondo arabo.

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