I socialdemocratici turchi possono riallacciare i rapporti con i curdi?

Hurriyet Daily News (18/08/2014). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Alla luce degli ultimi sviluppi della situazione irachena, con un nuovo intervento degli Stati Uniti e la corsa di diversi Paesi all’invio di armi ai peshmerga curdi, vale la pena osservare che l’attuale stato di cose rischia di sfociare in una nuova spirale di tensione che potrebbe coinvolgere la Turchia, pedina eccellente dello scacchiere regionale.

Trent’anni fa, il 15 agosto 1984, militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk, fuorilegge) si sono infiltrati dall’Iraq compiendo incursioni nelle due città turche di confine Eruh e Şemdinli. L’allora primo ministro Turgut Özal aveva liquidato la vicenda come opera di “un manipolo di predoni”, anche se ha segnato l’inizio di una delle guerriglie più ambiziose della storia moderna, condotta appunto dal Pkk, fondato clandestinamente da Abdullah Öcalan nel 1978, in un villaggio del distretto di Lice, nella provincia a maggioranza curda di Diyarbakır.

Sono almeno 40mila le vittime tra i curdi della battaglia tra Pkk ed esercito turco, ma per le forze di sicurezza di Ankara ogni 15 agosto è giorno di allerta, malgrado le trattative iniziate due anni fa. Ad aprire lo spiraglio del dialogo è stato l’allora primo ministro e attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan, che ha scelto come mediatore la Hakan Fidan, organizzazione dell’intelligence nazionale turca (Mit). Nel frattempo Öcalan è detenuto nel carcere dell’isola di İmralı dal 1999, da quando fu catturato durante un’operazione coordinata del Mit e della Cia, agenzia di intelligence statunitense.

Nessuno scontro negli ultimi 15 agosto, ma quest’anno si sono verificati tre episodi significativi. Anzitutto, in un villaggio vicino Lice, in onore di un capo del Pkk ucciso durante uno scontro con l’esercito turco è stata eretta una statua nel mausoleo che ospita le salme di molti “martiri del Pkk”. Lo stesso giorno, una delegazione del Partito democratico del popolo (Hdp, di sinistra e molto impegnato sul fronte dei diritti delle minoranze e sulla parità di genere) ha visitato Öcalan in carcere e un membro della delegazione ne ha riportato l’annuncio dell’inizio di una fase di “sviluppi storici”, che condurranno alla fine della guerra tra Ankara e il Pkk. Intanto il vice Primo Ministro Beşir Atalay, che coordina i colloqui con i rappresentanti curdi, ha detto alla stampa che le trattative procedono “a velocità massima, giorno e notte”, al punto che una road map potrebbe essere pronta per la fine di settembre.

Öcalan è ancora in carcere, ma è diventato una figura politica importante sulla scena politica turca. Non solo per l’avvio del processo di pace, ma anche per la sua capacità di rivolgersi ai socialisti turchi, come dimostra la visita della delegazione dell’Hdp, che alle presidenziali di quest’anno ha quasi raddoppiato i consensi raggiungendo quota 10%. Di fatto tuttavia questo partito è giunto a una sorta di punto di saturazione, nonostante la politica curda sia candidata a un ruolo di primo piano nella ristrutturazione dello scenario elettorale del prossimo futuro.

Stesso discorso per la principale forza di opposizione, i socialdemocratici del Partito repubblicano del popolo (Chp), che per anni non è stato in grado di raggiungere la soglia psicologica del 30% e di insidiare il partito di Erdoğan Giustizia e Sviluppo (Ak Parti). A causa dei suoi errori, che gli hanno alienato gran parte dei voti curdi (e aleviti), il Chp, partito fondatore della repubblica turca, non può contare sul consenso di almeno un terzo del paese. Molti dei suoi esponenti inoltre 20 anni fa sono passati al Partito socialdemocratico del popolo (Shp), che inizialmente contava molti attivisti curdi tra le sue fila ma ha finito con il liquidarli sotto le pressioni del governo.

Se si potrà liberare la questione curda dall’ombra della lotta armata attraverso il dialogo, un Chp rinnovato potrebbe guardare ad essa come unica opportunità per costituire un movimento di opposizione moderno e laico, che potrebbe infine rappresentare una valida alternativa a Erdoğan. Per ora Kemal Kılıçdaroğlu, la sua attuale guida, sta cercando un modo per intavolare un confronto con l’elettorato curdo, anche perché molti elettori curdi, principalmente musulmani sunniti, si sono già schierati con l’Ak Parti. Di fronte al rischio di perdere questa preziosa opportunità politica, Kılıçdaroğlu ha indetto per il 5 e 6 settembre un congresso, che sarà preceduto da un confronto sulle prossime elezioni parlamentari e da una riflessione sull’insuccesso delle presidenziali. Potrebbe essere arrivato il momento per lui e per il suo partito di nominare una delegazione che vada a discutere con Öcalan e trovi nella questione curda uno stimolo a riformulare la propria linea politica. Una mossa che non solo abbatterebbe un tabù storico, ma potrebbe contribuire al rinnovamento sia del Chp che della politica curda, oltre che alla democratizzazione della Turchia.

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