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I sarti di Daesh

Daesh

Di Miguel González e Patricia Ortega Dolz. El País (11/04/2016). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Daesh (ISIS) non è solo un gruppo terrorista, è un protostato, come lo ha definito il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuer García-Margallo. Quindi, oltre a reclutarli, i suoi combattenti hanno bisogno di armi e indumenti che li facciano sembrare membri di un vero esercito. Ma come e chi li rifornisce di queste merci?

Lo scorso 15 marzo la polizia spagnola ha sequestrato un container nel porto di Algeciras (Cadice) e altri due in quello di Valencia. Mentre il primo conteneva abiti usati, come dichiarato alla dogana, negli altri due c’erano un’imballatrice e 5 tonnellate di grano in balle, oltre a circa 20 mila uniformi militari nuove di zecca. Il container era arrivato dall’Arabia Saudita ed era pronto a essere imbarcato per la Turchia per poi giungere in Siria.

L’operazione della polizia completava quella realizzata il 7 febbraio scorso, quando sette immigrati sono stati arrestati per presunta appartenenza a una rete di appoggio a Daesh in diverse località della Spagna, tra cui Ceuta e Alicante. Si presume che il capo dell’organizzazione fosse Ammar Termanini, siriano di Aleppo arrivato nella penisola iberica nel 2012 dopo aver vissuto in diversi paesi europei. In Spagna, ha creato l’azienda Tigre Negro S.L., specializzata nell’import/export di prodotti tessili. Sotto la copertura dell’invio di aiuti umanitari, Termanini ha realizzato diverse spedizioni in Siria, dove si recava spesso.

Termanini non aveva problemi a mostrare da parte fosse: sul suo profilo Facebook aveva postato delle sue foto con delle armi automatiche in diversi punti della Siria, come a Idlib, che è sotto il controllo del Fronte al-Nusra. Le intercettazioni telefoniche hanno rivelato come era passato dal prediligere la filiale siriana di Al-Qaeda a servire il Califfato.

La parte finanziaria delle operazioni era presumibilmente affidata a Mohamed Abu El Rub Karima, nativo giordano. Per reperire i fondi, si serviva della hawala, il tradizionale sistema islamico basato sulla fiducia che permette di far girare denaro in diversi paesi senza lasciare traccia di transizioni bancarie. Quanto alla mente del gruppo, si presume si trattasse di Nourdine Chikar Allal, imprenditore marocchino residente in Spagna e presidente della Moschea di Cocentaina. Grazie ai suoi contatti in Turchia, si occupava di rimuovere gli eventuali ostacoli.

Tra i presunti complici dell’organizzazione figuro anche lo spagnolo Simón Richart Lucas: né convertito, né jihadista, Lucas è un imprenditore senza scrupoli disposto a non disprezzare alcun tipo di affare, secondo quanto riferito da chi lo conosce.

La rete non solo inviava uniformi al sedicente Stato Islamico, ma gestiva qualsiasi tipo di richiesta. Ad esempio, Trmanini reperiva un tipo di fertilizzante non commercializzato in Spagna e che serviva per fabbricare esplosivi.

Il bandolo della matassa del sostegno a Daesh è molto complessa ed è ramificata in molti paesi. Gli investigatori stanno iniziando solo ora a sbrogliarla, ma sono sicuri per vincerlo non basta arrestarne i combattenti: bisogna tagliare i finanziamenti e bloccare le rotte di approvvigionamento.

Miguel González è corrispondete in materia di diplomazia e difesa per El País.

Patricia Ortega Dolz è una giornalista specializzata in terrorismo e sicurezza per El País.

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