Economia Politica Zoom

I poveri del Golfo vogliono più dell’unità

L’opinione di Al-Quds al-Arabi (21/02/2012) – Traduzione di Carlotta Caldonazzo

E’ iniziata oggi a Riyadh la riunione tra i ministri degli esteri dei paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), durante la quale verrà discussa la proposta avanzata all’ultimo vertice dal re saudita Abdallah bin Abdelaziz. Questi aveva infatti chiesto di trasformare la struttura del Ccg di semplice organismo di cooperazione tra i membri verso una maggiore coesione, sul modello europeo.

Indubbiamente una buona proposta, ma che tarda a venire ed è arrivata in un momento difficile per il Ccg, in cui i legami tra i paesi membri si sono indeboliti rispetto all’epoca della fondazione del consiglio, circa 30 anni fa.

Ci sarebbero molte questioni da discutere apertamente e con chiarezza prima di compiere questo grande passo, elaborando studi rigorosi a riguardo, poiché le buone intenzioni da sole, nonostante la loro importanza, non sono sufficienti. Per trasparenza e chiarezza si intende esaminare tutto il percorso del Ccg negli anni passati e definire le cause che hanno portato a non attuare le aspirazioni dei popoli del Golfo. Non è logico infatti saltare dalla cooperazione all’unione in un sol colpo, se l’accordo sulle tariffe doganali tra i paesi membri, una delle questioni più semplici, è ancora oggetto di controversie e ancora non si è riusciti a risolverla nonostante se ne discuta da anni.

Inoltre anche la moneta unica ancora è al centro di discussioni profonde e due paesi, gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman, ancora si rifiutano di aderire. Un fatto che delude le speranze soprattutto dopo il rifiuto dell’Arabia Saudita di esaudire la richiesta degli Emirati di ospitare la sede della Banca centrale del Golfo. Non si possono dimenticare d’altra parte le dispute di confine tra gli stati membri del Ccg, che hanno vanificato enormi progetti che avrebbero potuto giocare un ruolo nell’avvicinare i popoli e facilitare la circolazione dei cittadini. In particolare il progetto del ponte che avrebbe dovuto collegare il Qatar e gli Emirati. Forse vale la pena ricordare le crisi tra gli Emirati e l’Arabia Saudita, sfociate nella chiusura delle frontiere, in una fila di camion lunga più di 20 kilometri o nell’impossibilità per i cittadini emiratesi di entrare in territorio saudita solo con la carta d’identità perché Riyadh ha ritenuto errato un documento che include confini che ribadiscono la sovranità degli Emirati all’interno degli stessi confini.

Finché vi saranno simili fratture sarà difficile stabilire una cooperazione, e ancor più un’unione, tra gli stati del Golfo, che pure sono considerati i più omogenei nel mondo arabo sia a livello economico che politico e sociale. Promettere qualcosa e realizzarla sono due concetti distinti. D’altra parte il Ccg ha promesso di stanziare 20 miliardi di dollari per i paesi membri più poveri, ovvero Oman e Bahrein, per aiutarli a soddisfare le richieste dei loro cittadini contro la disoccupazione, per avere opportunità di lavoro, per migliorare i servizi pubblici impedendo che le tensioni sociali sfocino in proteste popolari. Finora nelle casse di questi stati non è entrato neanche un dollaro.

L’Unione Europea, che il Ccg vuole imitare, ha stanziato più di 300 miliardi di dollari per aiutare i governi che affrontano crisi economiche come Grecia o Irlanda. Inoltre ha istituito un fondo doppio per sostenere altri stati come Italia, Spagna e Portogallo. Vedremo forse un atteggiamento simile nei ministri degli esteri del Ccg riuniti oggi a Riyadh? Speriamo di sentire una risposta esplicita a questa domanda nella dichiarazione finale.