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I pericoli della polarizzazione in Turchia

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Di Richard Falk. Middle East Eye (02/11/2015). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi.

Le elezioni che si sono svolte in Turchia il 1° novembre hanno segnato un punto inatteso per il partito al governo AKP (Giustizia e Sviluppo), che ha ottenuto il 49% dei voti, con una maggioranza di 316 deputati per formare un nuovo governo.

Tuttavia, si potrà parlare di vittoria per l’AKP solo se il partito sarà in grado di gestire un processo di depolarizzazione, e a questo punto pochi all’opposizione sono ancora disposti a considerare tale possibilità. Le accuse di brogli non aiuteranno a chiarire le cose. Questo intensificherà, almeno temporaneamente, la polarizzazione e probabilmente creerà un’atmosfera di crisi.

Due sono le spiegazioni principali alla vittoria dell’AKP: da una parte un grande sforzo per far uscire l’elettorato dell’AKP, dall’altra la sensazione abbastanza razionale degli elettori incerti che solo l’AKP avrebbe potuto garantire l’unità e la stabilità necessarie a risanare l’economia stagnante e ad affrontare le sfide securitarie poste dalla militanza curda, dal terrorismo di Daesh (ISIS) e dal continuo flusso di rifugiati dalla Siria.

Nonostante la gravità di queste preoccupazioni, la sfida più grande sarà trovare dei modi per invertire questa spirale di polarizzazione deleteria. L’opposizione laica continua a spiegare tutto quanto è andato male come colpa del presidente turco, ma soprattutto insiste che Erdogan insegue il potere assoluto e che sta spingendo il parlamento a riscrivere la Costituzione, in modo da porre fine alla democrazia parlamentare e decidere subito per un’autarchia presidenziale.

La risposta del governo a queste accuse si fonda sull’imperativo nazionale dell’unita politica, in una lotta poliedrica contro varie sfide che provocatoriamente demonizza come “terrorismo”, trattando la rinnovata violenza curda, Daesh e le tattiche controffensive del regime di Assad come un’unica cosa.

Subito dopo i risultati elettorali, la leadership politica di Ankara ha rinnovato l’invito all’unità, affermando che il vincitore delle elezioni è la nazione turca tuttavia, a meno che Erdogan moderi le sue ambizioni e il suo tono, la polarizzazione peggiorerà con risvolti catastrofici ogni giorno più probabili.

Tra il 2002 e il 2011 la polarizzazione è stata unilaterale, principalmente ad opera delle forze d’opposizione che mostravano il loro sdegno la leadership di Erdogan ed insistevano che le riforme erano mosse per soddisfare i criteri per entrare a far parte dell’UE, ma in realtà nascondevano un’agenda segreta, cioè far diventare il Paese una repubblica islamica, “un secondo Iran”.   

In quel periodo, l’ostilità dell’opposizione non ha indebolito il sostegno popolare al governo dell’AKP. Anzi il partito ha continuato a vincere con margini sempre più ampi, grazie ad un’economia forte, a misure di protezione sociale e all’indipendenza della Turchia in politica estera. Erdogan ha finalmente iniziato a rivalersi dopo le elezioni del 2011, per diventare negli ultimi anni sprezzante di ogni critica.

Una società polarizzata porta la maggior parte dei cittadini ad identificarsi con uno dei due poli, poli che sono antagonisti in un modo che preclude ogni forma di dibattito, di cooperazione e di compromesso su cui si regge una democrazia funzionante. Di conseguenza, tutti gli sforzi per affrontare le sfide condivise agli interessi turchi sono assaliti da un discorso di recriminazione e accusa. Questa interazione ha avuto come risultato una polarizzazione deleteria, con l’opposizione che ignora la legittimità del governo e il governo che mina i diritti dei cittadini.

L’AKP si trova ora affrontare delle serie minacce all’ordine pubblico democratico. Se la violenza curda continua, il governo potrebbe dichiarare lo stato di emergenza e la legge marziale o, al contrario, l’esercito potrebbe attuare un colpo di Stato che avrebbe il sostegno dei laici. Sviluppi del genere potrebbero anche determinare una guerra civile su iniziativa dei curdi o anche una serie di attentati ad opera di Daesh.

Nonostante tutte queste nubi che oscurano il cielo turco, ci sono anche alternative ottimiste create dalla vittoria dell’AKP, alla luce del fatto che l’attuale livello di polarizzazione è insostenibile.

Per una svolta in senso democratico, il ruolo del primo ministro turco è indispensabile. Davutoglu deve però essere disposto a fare quello che non ha fatto finora: affermare la propria leadership e impedire ad Erdogan di interferire nella formazione di un nuovo governo. Solo lui possiede la statura e il livello di flessibilità che darebbero ad un simile approccio la possibilità di funzionare.

Sebbene il risultato elettorale sia descritto principalmente come il trionfo di Erdogan, il suo ruolo storico come più importante leader turco dopo Ataturk può essere riscattato solo se farà un passo indietro. È proprio la combinazione tra l’assertività di Davutoglu e la prudenza di Erdogan che potrebbe restaurare quella traiettoria positiva che ha reso il primo periodo di governo dell’AKP un successo per la Turchia.

Solo queste improbabili mosse potrebbero dare inizio ad un processo di depolarizzazione.

Richard Falk è studioso di diritto e relazioni internazionali. Ha insegnato per 40 anni alla Princeton University.

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