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I palestinesi vogliono una terza Intifada?

di Orit Perlov. Haaretz (30/11/2014). Traduzione e sintesi di Silvia Di Cesare.

Con l’aumento degli scontri a Gerusalemme parole come “escalation”, “deterioramento”, e la frase tanto amata dai giornalisti, dagli esperti e dai ricercatori “terza Intifada” vengono disseminate ovunque. Al di là dell’ovvio fascino e della paura che questi termini provocano, ci si chiede: ma è vero?

Più di un milione di palestinesi sono attivi sui social network e questo ci permette di tastare il loro stato d’animo e di comprendere meglio il clima in cui le tensioni di Gerusalemme stanno avendo luogo: la popolazione palestinese vuole un’altra Intifada? I giovani palestinesi hanno la motivazione, l’abilità e una leadership in grado di gestire la piazza per iniziare una terza Intifada?

Secondo le mie stime, la risposta è no. Lo scoppio di una terza Intifada richiede una leadership che la desidera e una massa critica di persone che sia disposta a intraprendere azioni violente. I discorsi che si possono leggere sui social network suggeriscono che né in Cisgiordania né a Gerusalemme esiste questo tipo di massa critica, e non vi è in Palestina una leadership con la capacità (e il desiderio) di far funzionare la protesta delle “strade palestinesi”. Allo stesso tempo nei social network si riscontra la volontà dei palestinesi di aumentare il numero di incidenti individuali, di “attacchi a sorpresa dei singoli”.

Nonostante la sensibilità di Gerusalemme o Hebron, io continuo a non vedere, nella maggioranza della popolazione palestinese, nessun interesse in un’escalation delle violenze. Eppure, le lezioni del passato ci insegnano che anche un “attacco a sorpresa dei singoli” può portare a drammatici e strategici cambiamenti. Non dobbiamo quindi prendere sottogamba quanto sta avvenendo a Gerusalemme.

Orit Perlov è un’analista dei social media presso l’Istituto degli studi per la sicurezza nazionale