News Zoom

I buoni propositi dell’Occidente

The National.ae (04/07/12). Di Faisal AlYafai. Traduzione di Alessandra Cimarosti.

A maggio, il presidente Barack Obama ha firmato un ordine esecutivo – di cui si è parlato molto poco – che prevedeva sanzioni per chiunque interferisse nella transizione dello Yemen. La mossa è stata ampiamente studiata sulla figura di Ali Abdullah Saleh, ex presidente rimasto nello Yemen, cercando in questo modo, di esercitare influenza e mantenere i privilegi della sua famiglia. L’ordine di Obama sullo Yemen è stato dato simultaneamente ad un altro esempio di coinvolgimento occidentale nei paesi del Medio Oriente: l’appello da parte degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e di altri governi occidentali, per destituire Bashar ElAssad. L’ordine nel caso dello Yemen però è stato un uso, piuttosto fine, di potere.

L’intervento non è sempre qualcosa di negativo, ma è meglio quando è più diretto. Perché allora l’Occidente e soprattutto gli Stati Uniti, sono così silenziosi nel caso dell’Egitto?

La comunità mondiale è stata apertamente coinvolta in tre delle cinque rivolte arabe. Aerei da combattimento  occidentali e arabi hanno pattugliato i cieli sopra la Libia; il GCC, con l’appoggio degli Usa, ha condotto negoziati per una transizione politica in Yemen; e ora, i paesi arabi, con l’Occidente e la Turchia, desiderano di vedere finire il conflitto in Siria.

Ma per il caso dell’Egitto, gli Usa sono e sono stati curiosamente silenziosi. Si potrebbero giustificare dicendo che l’Egitto è un paese sovrano che deve prendere da solo le proprie decisioni. Ma gli Stati Uniti non si fanno problemi ad appellarsi al cambiamento di altre nazioni sovrane. Nelle scorse settimane, gli Usa hanno detto chiaramente cosa pensavano dovessero fare la Grecia, la Cina e anche la Germania. E non si fanno problemi a dettare quale tipo di posizione gli altri stati dovrebbero adottare: ad esempio manifestare il proprio sostegno riguardo alla punizione nei confronti dei palestinesi – dopo che Gaza ha votato per Hamas, decisione non approvata dagli Stati Uniti.

Questo è doppiamente sconcertante perché gli Stati Uniti hanno un’influenza significativa sui generali in Egitto: una dichiarazione pubblica statunitense – dichiarazione dal maggiore fornitore di aiuti militari – riguardo un vero e proprio trasferimento di potere ad un governo civile, avrebbe mandato alla giunta il chiaro messaggio che i giorni della dittatura militare stavano volgendo al termine. Ciò avrebbe anche dimostrato a tutti gli egiziani e al resto del mondo, che gli Stati Uniti sono veramente dalla parte della democrazia. Ma non c’era da aspettarselo.

Si fa confusione riguardo all’intervento e in particolare riguardo alla difficoltà di formulare una politica coerente di interferenza all’estero. Le ragioni americane per parlare o non parlare sono intrinsecamente politiche, vogliono difendere i propri interessi e mantenere la propria influenza, ma gli Stati Uniti hanno bisogno di incorniciare le proprie ragioni con un linguaggio morale. Ed è l’aspetto morale ad essere un problema. La vera domanda circa l’intervento, non è se debba o non debba esserci, ma piuttosto circa il suo livello e la sua intenzione. Le potenze esterne  sono sempre intervenute in qualche modo, o attraverso la forza militare, o con la diplomazia, o con alleanze, o col riconoscimento diplomatico, o ancora con la politica commerciale…

L’Occidente, con le sue grandi capacità militari e soprattutto, una storica propensione all’uso della forza per motivi politici, è spesso accusato di interferenza. Ma di nuovo, il problema non è l’intervento in sé, quanto piuttosto il suo utilizzo selettivo. Gli interventi occidentali sono spesso amorali, ma giustificati in termini morali. L’intervento amorale è comune in tutto il mondo, ma l’Occidente è specializzato nel far passare azioni palesemente politiche, per azioni morali. Si può quindi interpretare la creazione di un “soft power” per legittimare un “hard power”, tentativo per sostenere l’uso del potere, solo quando è giusto. Questa è una posizione astuta in un mondo di potenze militari in competizione, soprattutto perché permette all’Occidente di appropriarsi di moralità per coprire la politica. Questo processo può essere ricondotto alla Guerra Fredda, nella quale era importante dimostrare che determinate politiche erano quelle giuste.

Il problema delle giustificazioni morali sovrapposte alle decisioni politiche è quando è ovvio che la moralità sia falsa. È il caso della seconda guerra in Iraq. Coloro i quali volevano invadere l’Iraq senza motivi validi chiedevano a quelli che si opponevano “Allora vuoi che il regime di Saddam Hussein continui?”. La risposta era logicamente “no”. Il mondo ha infiniti problemi politici che richiedono urgenti soluzioni: il regime di Robert Mugabe in Zimbabwe, la guerra infinita nell’Africa centrale, la brutale occupazione israeliana, il trattamento delle minoranze in Cina, e così via. Gli Stati Uniti hanno programmato di utilizzare la forza militare in tutti questi casi? E se no, perché sceglierne solamente uno? Il sostegno insincero di alcune politiche è lampante.

È questo che rende il silenzio nel caso egiziano così rumoroso. L’America e gli altri stati decidono di intervenire per ragioni politiche e non per ragioni morali. I paesi che vogliono interferire negli affari altrui sostengono che la situazione sul terreno è davvero impossibile e che quindi devono agire, devono proteggere i civili, promuovere la democrazia, sostenere lo stato di diritto e un’altra miriade di altre ragioni che però sono felici di abbandonare nel caso di paesi “più amichevoli”. Quando al contrario, l’intervento non è politicamente importante, la giustificazione è “non possiamo interferire negli affari di un altro stato”.

La via d’uscita dall’ipocrisia è una maggiore apertura della politica; parlando di moralità e introducendo il processo decisionale nel controllo reale, i cittadini potrebbero valutare qualsiasi possibile intervento. E questo fermerebbe le politiche ipocrite che hanno tanto danneggiato la credibilità dell’Occidente. Chi vorrebbe sentire “Abbiamo supportato Hosni Mubarak perché ci faceva comodo che tenesse a bada i cittadini e torturasse gli occasionali “cattivi” al posto nostro ?”

Ma a lungo termine sarebbe meglio. La guerra non deve esserci solo per essere giustificata e l’intervento spesso, non è solo in caso di guerra.