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Hezbollah ed Israele: il potere della deterrenza

Hezbollah
Nasrallah
Nasrallah

A seguito dell’attacco perpetrato da parte di Israele contro alcuni guerriglieri di Hezbollah il 18 Gennaio scorso, il Partito di Dio ha reagito, nei giorni passati, prendendo di mira un convoglio israeliano che transitava nell’area delle Fattorie di Sheba’a. Le prime pagine dei quotidiani arabi sono tutte centrate sull’argomento: preludio di una nuova escalation militare su larga scala oppure episodio isolato di una guerra “fredda” che va avanti dal 2006?

Qualunque sia la risposta (impossibile da dare al momento), un primo elemento si può già mettere in evidenza: Hezbollah doveva rispondere ed ha risposto. Ha scelto il tempo e la modalità, ha definito gli obiettivi ed ha agito con lo scopo di mantenere invariato l’equilibrio di forze con Israele. Nell’ottica sciita bisognava infatti conservare intatto il potere della deterrenza, facendo sì che ad un’aggressione di Israele corrispondesse, come sempre nella storia, una reazione da parte di Hezbollah. Questo per dimostrare, agli altri ma forse anche a se stessi, che a nove anni di distanza dalla guerra dei 33 giorni (2006) ed a 4 anni dall’inizio del conflitto siriano, il Partito di Dio ha mantenuto invariata la propria potenza di fuoco, la propria capacità di colpire il nemico. Nelle parole di Nasrallah: “Noi non vogliamo una nuova guerra [come quella del 2006 ndr], ma allo stesso tempo non siamo spaventati dalla possibilità di una nuova guerra”.

Il conflitto fra Israele ed Hezbollah dura ormai da oltre trent’anni, per la precisione dal 1985, anno in cui il Partito di Dio venne ufficialmente fondato come reazione all’operazione militare israeliana “Pace in Galilea” del 1982. Trent’anni in cui Hezbollah ha condotto la propria azione di resistenza contro Israele giungendo nel 2000 a quello che il mondo arabo ha salutato come “un evento storico”: la liberazione del Sud del Libano dalle truppe israeliane costrette a ritirarsi dopo anni di occupazione. La resistenza è stata costantemente presentata come uno sforzo nazionale effettuato di concerto con l’esercito e le strutture statali, mentre gli avversari di Hezbollah hanno sempre sottolineato il pericolo di avere un esercito sciita alternativo a quello nazionale, una milizia armata la cui presenza influisce negativamente sulla stabilità del Paese.

La recente risposta militare di Hezbollah è stata anche un modo per testare la politica interna libanese, la quale ha reagito in forma e modalità quasi unanime plaudendo all’azione dei guerriglieri sciiti. Tutti concordano che una escalation militare su larga scala, in fondo, non giovi a nessuno e tanto meno ad un Libano che persiste in una crisi istituzionale particolarmente profonda con lacerazioni politiche che, nonostante i continui incontri sponsorizzati da Nabih Berri, faticano ancora richiudersi. Certe ferite hanno bisogno di tempo, o di una reale volontà o ancora di interessi coincidenti, per cicatrizzarsi. Per ora il Libano persiste in una cronica condizione di incertezza, laddove la presenza di Hezbollah e la sua forza sono forse gli unici veri punti fermi (arricchenti o penalizzanti dipende dai punti di vista dei vari attori politici locali) di tutto il Libano. Come a dire che, volenti o nolenti, la politica libanese ruota sempre ed ancora intorno alla figura del Segretario Generale Sayyed Hassan Nasrallah, le cui parole hanno un peso specifico determinante negli equilibri regionali.

La Redazione