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Hello Psychaleppo: l’elettronica come evasione da una realtà sempre più surreale

Hello-Psychaleppo-Siria
Intervista a Samer Saer el-Dahr, nome originale del produttore musicale siriano conosciuto come Hello Psychaleppo

Di Robert Cusack. The New Arab (17/03/2017). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Nel settembre 2012, Samer Saem el-Dahr, in arte Hello Psychaleppo – un mix tra il suo genere, l’elettronica psichedelica, e la sua città di origine, Aleppo – ha lasciato il suo Paese e lì la sua musica convinto che presto sarebbe tornato a casa: “Pensavo di essere di ritorno nel giro di un mese, pensavo che le cose sarebbero andate meglio”, ha detto dal suo studio in Minnesota. “Avevo un concerto in Libano un paio di mesi dopo, ma non avevo nulla con me – nessun album, nessun file, niente. Sono come un palestinese che è partito conservando le chiavi di casa, aspettando di poterle usare di nuovo”.

Produttore musicale di enorme successo, Dahr ha finora realizzato due album. Ha fatto il tutto esaurito a un concerto ad Amburgo, ma lo ha dovuto cancellare a causa del recente divieto introdotto dal presidente Trump. in quanto possessore di una green card, Dahr dovrebbe avere l’opportunità di viaggiare liberamente dentro e fuori degli Stati Uniti, ma – all’epoca dell’intervista –  il divieto del neopresidente era ancora in vigore. “Già vengo dalla Siria – pensavo che il sacrificio avesse un limite”.

Ad ogni modo, Dahr pensa che “le cose andranno meglio”. È solo “sorpreso di com’è fatto il mondo oggi: diventa sempre più surreale”. Per riflettere questo surrealismo, Dahr crea un tipo di musica che chiama “electro-tarab”. Sceglie e campiona accuratamente registrazioni rare di musicisti arabi beduini e li mescola alla musica elettronica per produrre qualcosa di completamente originale, davvero surreale.

Con il suo nuovo album, atteso per l’estate, Dahr vuole affrontare alcune delle problematiche legate allo status di rifugiato siriano. “Sono sicuro all’80% che l’album si chiamerà Tayyur, cioè Uccelli”. L’ispirazione per il nuovo disco arriva da un famoso libro intitolato “La conferenza degli Uccelli”, scritto nel 12° secolo dal poeta sufi Attar di Nishapur: l’opera esplora la condizione umana e la ricerca del divino. “Come siriano, gli uccelli sono il simbolo di molte cose per me: immigrazione, pace, libertà di movimento, persino libertà di espressione”.

Dahr si incupisce quando parla della sua impossibilità di viaggiare o di questioni legate alla sua libertà: “Mi sento impotente, mi chiedo ‘Cosa sta succedendo?’. Come siriano, mi viene difficile parlare di argomenti come il razzismo: siamo nel 2017, dovremmo essere andati oltre. Ma poi guardi il mondo e ti accorgi che non è cambiato niente”, conclude con un sorriso.

Come molti altri rifugiati siriani, una delle più grandi frustrazioni per Dahr è il pensiero che potrebbe non rivedere più la sua famiglia. I suoi genitori al momento vivono a Beirut, dopo aver passato 3 anni in Giordania. Visto il clima attuale, è difficile che riusciranno ad ottenere un visto per gli USA: “Riunirsi con la propria famiglia è una priorità. Ma potrebbe non succedere, è assurdo”.

Dahr, poi, non vuole parlare di una serie di argomenti per motivi di sicurezza, sia personale che non. Tuttavia, dice di non voler parlare di politica perché non la capisce: “Preferisco parlare di persone, di siriani, perché stanno lottando. Qualsiasi cosa facciano, ovunque si trovino, in Siria o fuori, ho pieno rispetto per loro. Per me sono tutti eroi”.

E lui come convive con questa lotta? “Faccio musica. Davvero, la musica è stata la via d’uscita. Mi da un senso di realtà, qualcosa che posso controllare”. Fare musica è una realtà alternativa alla quale Dahr consacra quasi tutta la sua vita. Molta della sua produzione viene da archivi online, dato che non può recuperare i suoi in Siria.

C’è anche un altro possibile nome per il suo prossimo album: “Al 20%, si chiamerà Simorgh“, che in persiano significa “30 uccelli” e indica il nome della fenice che si trova alla fine del viaggio delle sette valli. “Simorgh sono 30 uccelli che si uniscono e rinascono dalle ceneri”. Rappresenta forse la rinascita della Siria? “Sì, è un’immagine poetica di quello che i siriani pensano a livello collettivo o di quello a cui stanno aspirando”.

Robert Cusack è un giornalista bilingue per The New Arab.

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