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Heba Yossry, la “sovversiva tranquilla” del cinema egiziano

Scena di un film di Heba Yossry, "My Sheherazade"
Scena di un film di Heba Yossry, “My Sheherazade”

di Jenifer Evans (Egypt Independent 22/10/2012). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

Heba Yossry sembra fare film per sé stessa. Film che non cercano d’impressionare con destrezza o virtuosismi, che piuttosto devono il proprio fascino alle coincidenze, attraverso l’intimità con cui vengono realizzati. Non sono film basati su stereotipi, ma si dispiegano in modo organico, con tutte le complicazioni della vita reale. Lasciano un forte retrogusto di qualcosa che non si interessa molto di ciò che pensa la gente – ed è più un punto di forza che non un punto debole, in questo caso.

Heba Yossry è approdata nel cinema egiziano col suo primo film dal titolo “Professione: Donna” (2005), motivato molto dalla curiosità. La regista l’ha realizzato mentre frequentava ancora il 1° anno all’Istituto di Cinema Nazionale, con un budget di 800 lire egiziane (100 euro circa). Ai tempi lavorava nel negozio di suo padre in cima al loro palazzo, e da lì osservava le prostitute che si intrattenevano con gli uomini per la strada. Essendo stata allevata con l’idea di dover stare alla larga dagli uomini e considerarli pericolosi, si chiedeva come quelle donne ci riuscissero. Alcune aspettavano un uomo nel negozio, e man mano che faceva la loro conoscenza si rendeva conto che erano persone comuni con vite fatte di problemi. Era curiosa di come fossero finite a fare ciò che facevano.

Il risultato è un film sensibile e conciso, fatto d’interviste a quattro prostitute, intervellate da riprese della strada di notte, ed il tutto filmato con un’aria furtiva che si sposa bene al suo soggetto. Il film non esprime giudizi e le donne sembrano al contempo forti e vulnerabili. La regista dice che vedere quanto ognuna di loro ci tenesse a mettere in chiaro il fatto di possedere una forte etica – per esempio: non avrebbe mai rubato – le ha fatto apprezzare la varietà di morali e legami con Dio che esistono. “Sono più pura di tutte voi altre,” dice una donna, Asmaa, rivolgendosi con tono di sfida al gruppo dietro la telecamera.

Nella scena finale, la regista chiede ad Asmaa dei suoi sogni. La donna dice che vuole fare la pediatra, ed immagina la sua laurea e sua madre prenderla tra le braccia e dirle che le vuole bene. Il fidanzato di Heba Yossry, all’inizio d’accordo con l’idea del film, l’ha lasciata appena ha iniziato le riprese. I suoi professori hanno davvero apprezzato il suo film, ma poi l’Ismailia International Film Festival for Documentary and Short Films ha finito per non mostrarlo, nonostante regolarmente in programma. Dopo l’episodio, è stato pare bannato in Egitto, in parte perché è un film critico verso la polizia, che prende soldi dalle prostitute per lasciarle lavorare in strada. “Più che un successo, è stata una curiosità personale,” dice la regista, schietta e senza pretese come il suo film.

“Professione: Donna”, col suo stile libero, sembra il film di Heba Yossry più vicino alla realtà e distante dall’ortodossia. Sarà interessante vedere cosa farà quando tornerà a girare la sua telecamera e quella sua noncurante attitudine di nuovo verso il mondo esterno.