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Hany Abu-Assad parla del suo ultimo film, “Omar”

Ahram Online (28/01/2014). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.

Nonostante sia lo stesso regista di “Paradise Now”, filma che aveva sollevato un polverone tra gli israeliani per il suo ritratto umano di due palestinesi kamikaze, Abu-Assad ha potuto girare nel nord d’Israele la sua ultima fatica, “Omar”, senza dover far fronte a ostacoli da parte delle autorità.

Abu-Assad e gli attori principali del film sono tutti arabi israeliani che si proclamano palestinesi.

Il regista Hany Abu-Assad con gli attori Adam Bakri, Waleed Zuaiter e Iyad Hoorani interpreti di "Omar"
Il regista Hany Abu-Assad con gli attori Adam Bakri, Waleed Zuaiter e Iyad Hoorani interpreti di “Omar”

La trama del film mette in scena due innamorati separati dalla frontiera cisgiordana e un eroe brutalizzato dalla polizia segreta israeliana. Questi due elementi basterebbero a far aggrottare le sopracciglia a più di un israeliano. Il regista ha invece assicurato di avere avuto carta bianca durante le riprese: “Potevamo riprendere quello che volevamo e questo è stato un buon atteggiamento. Credo che le autorità israeliane abbiano fatto la scelta giusta: ad ogni giornalista che mi chiederà come sono state le riprese, non avrò nessuna storia da raccontare”.

Uno spirito così conciliante è, però, assente nel film “Omar”. La pellicola dà uno sguardo sull’esistenza quotidiana sotto l’occupazione militare israeliana: un giovane palestinese si scaglia contro l’esercito ed è costretto a scegliere se fare la spia o finire in prigione senza alcuna prospettiva di poter sposare la donna che ama. Segue il tradimento e le conseguenze sono tetre e sanguinose, ispirate, come dice Abu-Assad, alla tragedia “Othello” di Shakespeare:

“Il problema di Othello era la sua insicurezza. Quando si è insicuri, si inizia a credere all’incredibile. Quando si è paranoici, non si possono prendere decisioni razionali . Credo che ognuno di noi abbia vissuto un momento simile, a meno che non si provenga da un ambiente agiato che non ti costringe a vivere sotto pressione. È in quell’istante che si sente il potere della nostra esistenza. Noi palestinesi sappiamo bene cosa significa”.

Con “Omar”, Abu-Assad ha ricevuto la sua seconda nomination all’Oscar e ha attirato, oltre all’attenzione internazionale, anche gli strali di Israele. Già con “Paradise Now”, gli israeliani chiesero che il film, anch’esso nominato agli Oscar, non venisse presentato alla cerimonia. Almagor, un gruppo israeliano che rappresenta chi è stato vittima di attacchi palestinesi o che ha subito un lutto per causa loro, promette che verrà fatta pressione anche contro “Omar”.

Abu-Assad ritiene che questa censura sia fuori posto, in particolare perché il suo ultimo film è meno apertamente polemico. Il regista sostiene che “Omar” si concentri più sul modo in cui le nostre azioni hanno dei risvolti sulle amicizie e sulla vita sentimentale e su come si trova un equilibrio tra dovere e desiderio. “Un film dovrebbe mostrare ciò che non ti piace. Nessuno è d’accordo con le azioni messe in mostra ne “Il Padrino”, giusto? Tuttavia viene apprezzato perché mostra le cose da un altro punto di vista. Se “Omar” minaccia le idee di qualcuno, è perché c’è qualcosa di sbagliato in quelle stesse idee”.

Come molti tra la minoranza di arabi israeliani, Abu-Assad , 52 anni, si auto-definisce palestinese.  Durante uno screening per “Omar” si è rifiutato di parlare ebraico preferendo l’uso dell’inglese: “Voglio che gli ebrei israeliani facciano lo stesso sforzo che faccio io per capire loro”, ha spiegato.

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