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La guerra mediatica di al-Baghdadi: propaganda o minaccia?

Di Shafik Mandhai. Al Jazeera (17/07/2014). Traduzione e sintesi di Laila Zuhra.

L’offensiva in Iraq dello Stato Islamico ha portato in primo piano il raffinato apparato mediatico dell’organizzazione, suscitando allo stesso tempo fascino, paura e dubbi sulla sua efficacia.

Già da tempo, i membri del gruppo, in precedenza noto con l’acronimo inglese ISIL, Islamic State in Iraq and the Levant, avevano stabilito una forte presenza in rete, ricorrendo a piattaforme come Twitter e Instagram per documentare la vita quotidiana, rispondere ai giornalisti e interagire con chi che voleva unirsi a loro, nonché caricando su YouTube video che li ritraevano mentre combattevano ed effettuavano esecuzioni di soldati iracheni.

Secondo l’analista Carmy Levy, i seguaci dell’autoproclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi hanno imparato “la lezione dell’era dei social media e hanno saputo beneficiare della democratizzazione della tecnologia”, dando prova di una sofisticatezza mediatica senza precedenti da parte di gruppi simili: il facile accesso a certi strumenti tecnologici, abbinato alla capacità dei social media di raggiungere un gran numero di persone, ha facilitato la creazione di un senso di appartenenza ad una comunità online rafforzando la strategia di marketing dell’ISIL”.

La tendenza dell’ISIL a comunicare attraverso i social media, però, non si traduce necessariamente in un autentico aumento di consenso. Secondo Jamie Bartlett, Direttore del Centro per l’Analisi dei Social Media del gruppo di esperti Demos, infatti, l’abilità del gruppo nell’utilizzare le risorse offerte dal web è stata “sopravvalutata”; nonostante la bravura nel progettare visibilità sui social network, la valutazione delle capacità effettive del gruppo dipende da fattori slegati dal web, quali “le finanze, gli armamenti, la struttura organizzativa e il know-how”.

C’è, invece, chi ritiene che questa attività online rafforzerà l’ISIL nel lungo temine. Secondo Rizwaan Sabir, specialista nella lotta al terrorismo della University of Bath, la condivisione di storie di eroismo in modo libero e senza filtri aiuta a mantenere acceso l’entusiasmo e ad aumentare la coesione. Mostrandosi come “aperto e accessibile”, l’ISIL potrebbe presentarsi come un gruppo con un “mandato sociale e politico, oltre che militare”. Mentre i seguaci di Baghdadi mirano ad ottenere il sostegno dei musulmani che condividono la loro interpretazione dell’Islam, le attività online del gruppo hanno come obiettivo quello di mostrare “al pubblico mondiale che l’IS non ha paura e che qualsiasi sfida sul piano militare sarà difficile ed estremamente violenta”.

Tuttavia, ritiene Sabir, questa spudorata presenza sui social media non può continuare senza il rischio di un effetto boomerang: le stesse immagini violente potrebbero acuire l’avversione nei confronti del gruppo e dare ad altre fazioni una giustificazione per atti violenti nei suoi confronti.

 

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