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Gli attentati di Damasco sono solo l’inizio

damasco
L’opposizione siriana e l’arma del terrorismo come lotta al regime

Di Mona Alami. Middle East Eye (21/03/2017). Traduzione e sintesi di Laura Formigari.

Nella cornice del fallimento dei colloqui di Astana e Ginevra, il conflitto siriano sembra avviarsi verso una nuova fase di violenza, segnata da un numero crescente di attacchi terroristici nelle aree controllate dal regime.

Iniziati lo scorso gennaio con un attentato suicida nel quartiere damasceno di Kafr Sousa, gli attacchi sono continuati a febbraio quando, proprio durante la seconda giornata dei colloqui di Ginevra, sono state colpite le basi militari nella parte occidentale di Homs, provocando 32 vittime, tra le quali il generale Hassan Daabul, capo dell’intelligence militare siriana e stretto alleato di Assad. A marzo, un duplice attacco ha ucciso 74 persone, tra cui 43 pellegrini sciiti, a Damasco, nell’area di Bab Saghir, sede di numerosi santuari sciiti, tra cui il mausoleo Sayyida Zeinab, una delle mete di pellegrinaggio sciita più visitate in Siria, mentre un’esplosione nel palazzo di giustizia di Damasco ha provocato 31 vittime. Lunedì 20 marzo, infine, una grande esplosione è stata seguita da un’incursione dei ribelli nella zona est di Damasco, due giorni prima di un altro ciclo di colloqui fissati in Svizzera. Gli attacchi sono stati quasi tutti rivendicati da Hayat Tahrir al-Sham una coalizione di forze guidata da ex membri salafiti di Ahrar al-Sham e da Jabhat Fateh al-Sham, ex affiliato di Al-Qaeda.

Questi attacchi sottolineano due importanti tendenze: in primo luogo, data la poca attrattiva di altre opzioni negoziali o militari, i gruppi di ribelli guidati da Hayat Tahrir al-Sham potrebbero scegliere l’arma del terrorismo come corsia d’azione preferenziale alle sconfitte militari. Secondo l’esperta di terrorismo Martha Crenshaw, il terrorismo come strumento politico è generalmente abbandonato in tre casi: quando raggiunge il suo scopo, quando diminuisce la sua utilità o quando sono disponibili nuove alternative. Nessuno di questi casi si applica alla realtà attuale della Siria, dove il fallimento del dialogo si traduce in nuove violenze. Il terrorismo è visto, quindi, come uno strumento efficace nelle mani di un’opposizione indebolita e divisa, in lotta contro un regime abbastanza forte da vincere sui principali teatri militari, ma troppo debole per imporre qualsiasi tipo di pace duratura.

La seconda tendenza è il dominio del terrore da parte di Hayat Tahrir al-Sham che, a differenza di Ahrar al-Sham, Jeish al-Islam e dell’Esercito Siriano Libero, sotto forte pressione da parte delle forze regionali e internazionali per negoziare con il regime, ha un margine di manovra più ampio e insiste sul fatto che le uniche modalità di opposizione sono il terrore e la guerra. Il discorso di Hayat Tahrir al-Sham è sostenuto dai recenti eventi in Siria, dove sono in corso attacchi aerei che colpiscono aree abitate, nonostante un debole cessate il fuoco. La sua politica di colpire il regime proprio a Damasco ha accresciuto la sua popolarità e credibilità, ridefinendo le priorità dell’opposizione contro il regime. In tale contesto, gli attacchi terroristici contro le istituzioni militari e i luoghi sacri sciiti, saranno probabilmente l’arma prediletta.

Mona Alami è una ricercatrice e giornalista franco-libanese.

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  • LA RIVITALIZZAZIONE DELL’OPPOSIZIONE SIRIANA ATTRAVERSO L’INVASIONE E LO SCHIERAMENTO DELLE TRUPPE USA E L’ARMA DEL TERRORISMO COME LOTTA AL REGIME. Assistiamo al tentativo USA di ridare le carte dopo la sconfitta subita per mano russa, ritagliandosi, comunque, una presenza nel territorio siriano, sia con lo schieramento delle proprie truppe, entrate illegalmente in Siria, sia con una strategia capace di restituire prestigio ai cosiddetti ribelli dell’HTS. Gli attacchi suicidi di questi ultimi a Damasco, a mezzo di autobombe, sono solo l’inizio. Si profila, perciò, un altro bagno di sangue per i cittadini innocenti di Damasco. Due anni fa, Zahran Alloush, leader del gruppo ribelle siriano noto come “Esercito dell’Islam”, aveva dichiarato:
    “Dato che la capitale è piena di caserme, centri dell’intelligence, impianti di artiglieria e missilistici […] dichiariamo la città di Damasco come zona militare e arena per le operazioni [militari]”. La giustificazione addotta dagli americani, che accompagna le loro imprese, ormai dal 2011, è sempre la lotta ai “loro” terroristi. Il silenzio ipocrita e subalterno dell’Unione europea, che accompagna questa prosecuzione del bagno di sangue siriano, testimonia il ridicolo delle celebrazioni di ieri del suo sessantennale. Mona Alami, ricercatrice e giornalista franco-libanese, ci ha propone le sue acute riflessioni.