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Gli arabi non ripetano gli errori dell’Iran

As-Sharq al-Awsat (09/09/2012). Nel corso della sua storia recente, l’Iran è stato testimone di due importanti rivoluzioni: una agli albori del secolo scorso, che ha dato al paese una notevole spinta in avanti; l’altra, negli anni ’70, che ha invece riportato indietro l’orologio della nazione.

Visiti i notevoli cambiamenti apportati in molti paesi dal vento della primavera araba, è bene sottolineare alcune caratteristiche delle due rivoluzioni iraniane.

La prima, nota come Rivoluzione Costituzionale, ha avuto luogo nel 1906, in un momento in cui il paese si trovava in una situazione di grave degrado economico e sociale e la maggior parte della popolazione ignorava la storia e la cultura della propria nazione.

I fautori di questa prima rivoluzione furono i membri dell’élite intellettuale iraniana, la maggior parte dei quali  avevano avuto l’opportunità di studiare o lavorare in Occidente e apprezzarne i valori civili e democratici. Il loro obiettivo era quello di traslare questi valori in Iran nella speranza che, nel tempo, avrebbero portato ad un miglioramento della situazione nazionale. Fondamentale si rivelò il sostegno degli esponenti religiosi, senza il quale la piccola élite istruita non sarebbe stata in grado da sola di cambiare il corso della storia. Lo scià Mozzaffar ad-Din Shah concesse una Costituzione che prevedeva la formazione di un parlamento e la creazione di un sistema giudiziario moderno. Tuttavia, il successore di Mozzaffar, il figlio Muhammad Ali Shah, cercò di annullare la nuova Costituzione e bombardò il palazzo del parlamento. Muhammad Ali giustificò il suo atto con la volontà di imporre una nuova ideologia politica che si ispirasse alla legge islamica (shari’a), incontrando così il consenso del clero: entrambe le parti sostenevano che una comunità islamica può garantire l’uguaglianza e la giustizia senza bisogno di una Costituzione alla occidentale.

Nonostante ciò, il tentativo di ripristinare uno stato autoritario in nome della religione fallì. Dopo la deportazione di Muhammad Ali, l’Iran ha iniziato un viaggio verso la modernizzazione. L’obiettivo della seconda rivoluzione, quella del 1979, è stato quello di rovesciare questa situazione.

Contrariamente al contesto di inizio del secolo, l’Iran degli anni ’70 era uno stato economicamente potente, caratterizzato da un notevole progresso culturale, finanziario e industriale. Inoltre, l’élite intellettuale godeva di un radicamento enorme nella società. Nonostante ciò, l’élite non riuscì mai ad affermarsi a livello governativo e a produrre un’alternativa valida al quella degli esponenti religiosi.

E fu proprio la regola dittatoriale del clero ad avere la meglio nella seconda rivoluzione. Il resto, come si dice, è storia. Nei tre decenni successivi l’Iran ha conosciuto una regressione a livello storico. Molti atti compiuti dal nostro paese hanno causato seri danni alla regione ed all’Iran stesso.

Con una tale atmosfera di cambiamento imminente nella regione, l’élite intellettuale araba farebbe meglio a fermarsi a riflettere sull’esperienza dell’Iran, specialmente sul fatto di considerarla come un monito più che come un modello da imitare.

Articolo di Ahmad Ahrar

Traduzione di Roberta Papaleo