Giordania Zoom

Giordania: uno scenario musicale promettente

musica

Di Madeleine Edwards. Your Middle East (13/05/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Ad Amman, nel quartiere commerciale di Swefieh, si trova iPlay, uno spazio suddiviso tra scuola di musica e negozio di strumenti musicali diversi da quelli della tradizione araba. Violini, qualche tastiera, percussioni, chitarre elettriche e acustiche, una rarità nella capitale giordana, ma tutt’altro che pubblicizzato e invisibile al passante comune. In Giordania esistono due dimensioni dello scenario musicale: il mainstream, costituito dal pop commerciale arabo e da artisti provenienti in gran parte da Egitto e Libano, e la musica indipendente, che fiorisce in ambienti di nicchia e sostanzialmente isolati.

Wassim Qasis, che a iPlay lavora come impiegato, spiega che in pochi sanno suonare la chitarra “spagnola” perché chi ama gli strumenti a corda generalmente opta per chitarre più classiche, che si possono imparare a suonare gratuitamente navigando sul web. Insomma, spiega Wassim, il settore non è dei più sviluppati ad Amman, soprattutto a causa dell’isolamento in cui vive la musica indipendente. “Quando hai un concerto” spiega il batterista Baha Laham, “accetti l’idea che il tuo pubblico sarà di musicisti”, una nicchia al di fuori della quale hai poche speranze di ricevere apprezzamenti. Il pop arabo invece, genere commerciale molto diffuso, ha un pubblico decisamente più numeroso, mentre le uniche alternative accessibili sono alcune stazioni radio che propongono musica occidentale degli anni ’40 o rock classico, generi ormai cristallizzati ma più apprezzati delle sperimentazioni eclettiche che spaziano dal jazz fusion alla musica elettronica.

Niente a che vedere con gli anni ’70-’80, quando Amman poteva raggiungere in questo campo i livelli di Beirut, capitale mediorientale delle feste anche durante la guerra civile. Al punto da essere fonte di ispirazione per musicisti e dj di Amman come William Khoury, il primo dj professionista giordano, che al culmine della moda della disco music ha aperto nel suo Paese un negozio di dischi. Di tanto in tanto, oltre che a prendere ispirazione in Libano, partiva per l’Inghilterra per rifornirsi di dischi da vendere o da remixare nei suoi spettacoli. La sua attività ne ha fatto una sorta di punto di riferimento per musicisti e persino lavoratori della compagnia aerea giordana, che ne approfittavano per ordinare la loro musica preferita. “Ai miei tempi la gente veniva ad ascoltare musica”, ricorda Williams, “erano tutti buoni ascoltatori, si intendevano di musica”.

Diversa la prospettiva di Joseph Zakarian, dj e musicista di genere elettronico che ha lavorato a lungo nell’ambiente underground di Yerevan, Armenia, ma portando i suoi spettacoli anche in giro per il mondo. Di recente, tornato ad Amman (è di origine armena ma è nato e cresciuto nella capitale giordana) alla ricerca di nuove occasioni, osserva che il problema è lo stesso in tutto il mondo: il grande pubblico non riesce a emanciparsi dalla musica commerciale del mainstream perché le istituzioni politiche e culturali non sostengono professioni come quella di cantante, musicista o dj non è per niente sostenuta dalle istituzioni culturali. Un tempo, invece la gente familiarizzava maggiormente con la musica, quindi sapeva apprezzare anche la musica indipendente. Dunque alla radice ci sono sempre motivi di carattere economico, che spingono gli artisti indipendenti a resistere ai margini del mondo del mercato.

Madeleine Edwards è una studentessa di Studi Internazionali che al momento vive ad Amman, in Giordania.

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