Con altre parole Società

“Generazione senza padri. Crescere in guerra in Medio Oriente” di Gaja Pellegrini-Bettoli

Dal blog Con altre parole di Beatrice Tauro

“La domanda che mi sono posta nello scrivere (così come nel corso di ogni mio reportage e articolo) è stata: com’è la vita quotidiana in Medio Oriente? È diversa, e in che modo, rispetto a come me l’aspettavo? Perché in Occidente arrivano solo alcune storie e punti di vista?”

Con questi interrogativi si apre il saggio “Generazione senza padri. Crescere in guerra in Medio Oriente” della giornalista freelance Gaja Pellegrini-Bettoli pubblicato da Castelvecchi.

Un libro nel quale l’autrice racconta la sua esperienza di vita in Medio Oriente, da Gaza a Beirut e anche in Iraq. Anni nei quali ha potuto e voluto intercettare e raccontare la quotidianità di Paesi rispetto ai quali in Occidente dilagano i luoghi comuni e le distorsioni di una narrazione a volte troppo semplificata e superficiale. E per poter raccontare il Medio Oriente depurato da queste scorie la Pellegrini-Bettoli non si è risparmiata, correndo anche rischi personali per essere testimone diretta di scontri al fronte, come negli attacchi contro l’Isis.

Il volume si apre con il reportage sul rapimento della cooperante italiana Rossella Urru in Algeria nel 2012, prosegue con il racconto di un anno di vita a Gaza, con la descrizione delle precarie condizioni della quotidianità nella striscia, e poi Israele e Beirut. Ma la vita in Medio Oriente è costantemente scandita dai conflitti, quello israelo-palestinese, la guerra in Siria, le violenze dell’Isis. Tutti questi teatri di guerra danno luogo a generazioni senza padri: il Medio Oriente è il luogo dove c’è un’alta presenza di orfani, bambini nati e cresciuti all’interno di crisi, che non conoscono altra vita se non quella scandita da bombe, spari, esplosioni. Un aspetto su cui non ci si sofferma molto ma che determina una geografia umana peculiare, con esigenze e bisogni diversi. Pur non essendo un volume che vuole proporre la situazione geopolitica dell’area di riferimento, non mancano alcuni interessanti passaggi sull’argomento. Al riguardo è interessante la frase riportata dall’autrice e pronunciata nel 1919 dal Primo Ministro della Gran Bretagna, Lloyd George il quale dice «Ah l’Iraq…lì c’è il petrolio, dobbiamo avere il controllo sull’Iraq; Gerusalemme, la Terra Santa, dobbiamo mantenere il controllo sulla Terra Santa; in Siria, cosa c’è lì? Nulla, datelo alla Francia». Una frase che la dice lunga su come l’Occidente abbia pesantemente influenzato i destini di queste terre e dei popoli che le abitano.

Nel capitolo dedicato a Gerusalemme appare emblematica la riflessione dell’autrice “Ogni popolo è convinto della sua verità che si è sedimentata in un secolo di sangue e guerre, in un dialogo tra sordi. Si potrebbe dire che entrambi i popoli sono prigionieri delle loro verità che contribuiscono a impedire una soluzione al conflitto”. E infatti “nulla è come sembra in Terra Santa”.Interviste a capi politici di Hezbollah, a politici libanesi e ai protagonisti delle offensive contro lo Stato Islamico disegnano i dettagli della vita di una giornalista freelance in questo angolo di mondo così tormentato. La Pellegrini-Bettoli ci racconta anche la straordinaria esperienza di due sorelle libanesi, assistenti sociali che frequentano sistematicamente il carcere di Roumieh (il più grande di Beirut) per parlare con i detenuti jihadisti ed estremisti, nel tentativo di deradicalizzarli. Le due donne sono riuscite a conquistare la fiducia di molti di questi detenuti che con il tempo si sono aperti e hanno iniziato a parlare del loro percorso e, forse, a superare la radicalizzazione. “Gli ricordiamo le loro sorelle o le loro madri, la vita prima che abbracciassero un movimento estremista, e questo fattore può rappresentare uno degli slipping points, ossia uno dei momenti nei quali un jihadista decide di fidarsi e affidarsi a noi”.

Un libro interessante perché offre nuove prospettive e nuove visuali nel panorama medio orientale, ponendo l’accento sia sulla quotidianità delle popolazioni sia sull’attività giornalistica, laddove raccontare la complessità non può e non deve indulgere nelle semplificazioni e nei luoghi comuni. Un compito difficile che l’autrice ha dimostrato di saper svolgere, con consapevolezza e con il giusto mix di spregiudicatezza e cautela.

Gaja Pellegini-Bettoli è una giornalista freelance, ha lavorato per le Nazioni Unite a Gaza come addetto stampa e presso il Parlamento Europeo e la Commissione a Bruxelles.