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Fatima Mazmouz: quando la fotografia desacralizza il corpo femminile

Di Ayla Mrabet. Free Arabs (16/04/2014). Traduzione e sintesi di Lia Brigida Marra.

Fotografie di una donna che indossa stivali di pelle, biancheria intima, un mantello nero e un cappuccio; eppure, non si riesce a cogliere altro che il pancione della futura madre. Esibizionismo? Niente affatto. Fatima Mazmouz, fotografa e artista contemporanea di origine marocchina, ha usato la propria gravidanza quale opera d’arte, non solo per documentare la metamorfosi del proprio corpo, ma anche per rompere con la distorsione della femminilità e ridefinirne l’identità. “Il mio lavoro è intimamente legato alla mia vita”, spiega l’artista in un’intervista: “Il corpo parla con mezzi propri e le sue parole io le traduco in progetti d’arte che valicano la mia esperienza per raggiungere l’universale”.

Poliedriche e in continua evoluzione, le opere della Mazmouz, perlopiù fotografie e istallazioni, spingono lo spettatore, persino il più liberale, a sentirsi a disagio: la sua arte è deliberatamente kitsch, sfacciata, chiassosa, seria e, talora, scioccante. “Se alcune persone mi considerano provocatoria, è per via della nudità”, afferma l’artista, sottolineando inoltre come l’unica provocazione che ammetta nelle sue opere è quella interna al proprio sé: “Alcune persone credono vi sia coraggio nel mostrarsi nudi. Per me, avere coraggio significa osare confrontarsi con se stessi e far emergere quello che ne viene fuori”.

“Il corpo è uno strumento meraviglioso”, sostiene la Mazmouz. Mostrare e usare il suo corpo è per lei un atto politico e civico, “soprattutto nelle società dove appartenere a un sistema collettivo non consente di godere del proprio corpo, bloccato prevalentemente in considerazioni di ordine religioso”. Che le piaccia o meno, oltre a essere intelligente e creativa, questa artista è molto coraggiosa. Quale marocchina e berbera cresciuta in Francia, la Mazmouz rivendica le proprie identità multiple: “Per i miei genitori, ero troppo occidentale. Per gli altri, troppo orientale”, spiega l’artista, rivelando inoltre che “dietro all’idea della madre si nasconde quella della madrepatria: “Sono al contempo marocchina, berbera e francese: è doloroso, una guerra civile che ti si combatte dentro”.

“È meglio essere padroni delle fantasie di cui siamo oggetto”, la Mazmoz ne è convinta: “Se devo essere la marionetta di tutto ciò, soprattutto della politica, allora posso anche riprendermi il linguaggio del mio corpo per fargli dire le mie verità”. Verità assolute, però, non ce ne sono e l’artista lo sa bene. Mettendo a nudo la propria anima, protegge se stessa con l’arma e il valore più forti in cui creda: l’umorismo. Perché, come giustamente ritiene, “l’unica cosa rimasta è la capacità di prendere le distanze da se stessi”.

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