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Fango e fumo: l’inverno nei campi profughi

profughi siriani
Freddo atroce, fango e sofferenza negli accampamenti siriani; forte e disperato è il desiderio di tornare a casa

Di Labnaa Salem. Al-Araby al-Jadeed (11/01/2017). Traduzione e sintesi di Maria Antonietta Porto.

Barcolla il piccolo Sakhr, mentre guarda in basso, cercando col suo corpicino minuto di tirar fuori i piedi dal fango. Si dirige, il volto a malapena coperto, verso la porta della tenda, inzuppata, da ore, da una pioggia martellante. Entra, si siede sulla stuoia stesa sul terreno melmoso. Afferra un coltello per raschiare via il fango dalle scarpe di plastica rosse: “Quando è così è perfetto. Se si secca, diventa complicato”. Sua madre controlla che la legna da ardere sia asciutta: “Questo è ciò che ci spetta, solo 110 kg per l’intero inverno. Finora ne abbiamo usati 70, quando è stato necessario”.

10 famiglie del campo Otma, al confine tra Siria e Turchia, si sono occupate di tagliare e asciugare legna da ardere prima dell’arrivo dell’inverno, riponendola in una tenda, al riparo dalla pioggia. Ma la quantità per ciascuna famiglia è davvero esigua.

Da quattro giorni non si cucina, uscire dalla tenda è letteralmente impossibile. Continua la madre di Sakh amareggiata, mentre alimenta la stufa: “Tra piogge e temporali nessuno si ricorda del pane, tranne quando i lamenti notturni del nostro povero vicino malato attirano la nostra attenzione. Dall’inizio dell’inverno non ha ricevuto nessuna medicina”.

La legna scoppietta, sprigionando un fumo nero e soffocante che riempie la tenda, per poi fuoriuscire da una delle fessure provocate dalle tempeste sui tendoni di plastica che formano i muri e il tetto della tenda. Tutti si avvicinano al grande recipiente metallico contenente riso e acqua salata. I quattro bimbi, la mamma, il nonno immobile disteso sul letto, inalano ciò che la stufa, priva di una canna fumaria, sputa. Nonno e bambini tossiscono. “Che ce ne facciamo se non sempre abbiamo legna o altro combustibile? Solo fuliggine, nera come le nostre vite”.

La notte non si sente che il rumore del vento, che impetuoso si abbatte sul fango; di tanto in tanto il pianto dei bambini; altre volte solo un opprimente silenzio. Sebbene le condizioni in questo accampamento siano miserabili, molti lo preferiscono rispetto ad altri campi profughi.  La situazione è infatti analoga, se non peggiore, in decine di campi della Siria, dai quali provengono testimonianze disperate.

Campo di Karama, campagna di Idlib. “Dormiamo nel fango, fango che ci ha fatto odiare le nostre vite. Spesso l’acqua penetra nelle tende, inzuppandoci. Che dobbiamo fare? Non sappiamo se sia meglio dormire sotto un tetto bombardato o qui, in una tenda. Sono passati cinque anni e una soluzione non è ancora stata trovata. Sudici tutti i politici, più di questo fango in cui anneghiamo”. Abu Rian.

“Indosso tutti i vestiti che ho da giorni, senza toglierne nessuno, e ho freddo. Se ne avessi altri li metterei sopra quelli che ho già. Immaginate il freddo di questi bambini! Che possiamo fare? Il fango ci sommerge. Non vedo alcuna speranza. È il terzo inverno del genere in questo accampamento. Vogliamo un tetto sotto il quale dormire, dopo esser stati cacciati dalle nostre case. I miei cinque figli ieri notte si sono stretti alla loro mamma per riscaldarsi, mentre lei piangeva a dirotto, come questa pioggia impietosa. In poche parole, questa non è una vita da esseri umani”. Abu Muhammad, scappato da Aleppo con la famiglia e il padre.

Campo di Zaizun, campagna di Daraa, che accoglie circa 5,000 profughi fuggiti da Damasco e Homs. “Tutti i bambini sono malati qui. Hanno le mani e i piedi blu, congelati dal freddo. Gli ultimi aiuti risalgono a 10 mesi fa”. Omar al-Khalili.

Campo di Rukban, al confine con la Giordania. Qui vivono oltre 50.000 sfollati, alle prese con il rigido inverno desertico. Da oltre un mese si alternano tempeste di sabbia, piogge e temporali, con temperature notturne sotto lo zero. Una fitta polvere causa problemi respiratori a molti e impedisce di vedere. Ma il problema più grave è il terribile odore che si diffonde alla sera, emesso dalle stufe di fortuna fatte con vecchi rottami di tende.

“Si brucia di tutto per riscaldarsi: cartone, buste di nylon, plastica. Solo in pochi, con parenti fuori dalla Siria, possono permettersi altro. Alcuni hanno costruito piccole stanze -12m2– di fango. I primi a soffrire sono i bambini. I loro corpi non sono in grado di resistere, specialmente in condizioni di fame e malnutrizione. Ogni giorno ci sono decine di casi di malattie respiratorie, bronchiti e infezioni varie e quelli maggiormente colpiti sono proprio i più piccoli”. Shukri Shihab.

Labnaa Salem è uno scrittore libanese.

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