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Emigrazione, traffico di esseri umani e schiavitù nel mondo arabo

schiavitù
Il nuovo mercato degli “schiavi” associato agli immigrati clandestini in Libia dimostra che la cultura della schiavitù e delle sue pratiche è sempre diffusa e ancorata al passato.

Di Mehdi Mabrouk. Al-Araby al-Jadeed (26/11/2017). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.

Alcuni giorni fa diverse agenzie di stampa straniere hanno riportato la sentenza emanata dalla corte francese che condanna a sei mesi di reclusione un poliziotto francese per aver schiaffeggiato un immigrato clandestino mentre veniva condotto in tribunale. La notizia è stata accolta con enorme soddisfazione da parte dei centri in difesa dei diritti umani alla luce delle crescenti ondate di xenofobia presenti in più di un Paese europeo, per ragioni ormai note.

Paradossalmente, nel momento in cui veniva emanata tale sentenza, veniva scoperto in Libia il nuovo mercato degli “schiavi”, le cui vittime sono i migranti clandestini. Il ritorno del mercato degli “schiavi” riprende un valore consolidato all’interno della cultura sociale che continua ad associare la schiavitù a un modello di produzione e di vita sostenuto da quanti detengono la ricchezza e chiamati – a loro avviso – a schiavizzare le persone in modi diversi.

Dinanzi a flussi migratori provenienti principalmente dall’Africa Sub-Sahariana, i Paesi arabi, in particolare quelli magrebini, all’inizio del millennio, hanno emendato i propri regolamenti legislativi in materia di migrazione, rafforzando il campo normativo nel 2003 e 2004 al fine di impegnarsi a prender parte agli sforzi internazionali per arrestare l’emigrazione clandestina. Gli stati magrebini si fanno carico di una doppia pressione migratoria legata alle nuove generazioni e a politiche di sviluppo e occupazione fallimentari. Queste politiche intransingenti sono state utilizzate da una parte di Paesi europei e magrebini contro i migranti, vittime di reti spaventose, in particolare contro chi è più fragile socialmente e giuridicamente. Spetta quindi a noi ricercare le cause più profonde che hanno trasformato i migranti in vittime di traffici umani. In generale, potremmo riferirci alle fortezze elevate da molti Paesi dell’Unione Europea ai loro confini, lasciando morire migliaia di persone ogni anno. Ma questo non ci esonera dal rispondere ad un quesito imbarazzante: “Come hanno potuto i nostri fratelli libici ridurre questi migranti africani a schiavi e venderli all’asta?”.

Chiunque abbia visitato la Libia o altri Paesi arabi, prima della rivoluzione o dopo, sa che i migranti denunciano negli stessi territori la mancanza dei fondamentali diritti umani nonché la diffusione di pratiche molto simili alla schiavitù. La Libia, che mantiene oggi il suo status di Paese di transito, conserva l’eredità della schiavitù nel senso più antropologico del termine: il “moderno stato libico” non ha mostrato politiche culturali e sociali che cancellino la schiavitù in campo legislativo; anzi, il sistema educativo e culturale è ancorato al passato e il termine “schiavo” si rifersice ancora a persone di colore.

Come potremmo spiegare questo pesante lascito della cultura della schiavitù e delle sue pratiche? Sappiamo che vi sono legislazioni che eliminano ogni forma di discriminazione razziale e criminalizzano la schiavitù. Sappiamo che vi è un sistema educativo e culturale che rafforza i valori di eguaglianza e umanità. Senza dubbio tutte queste legislazioni hanno attraversato trasformazioni secolari lente ma necessarie.

Il prossimo 18 dicembre il mondo celebrerà la giornata degli immigrati in ricordo della ratifica della Convenzione Internazionale sulla protezione dei migranti e dei loro familiari. Vorrei ricordare che la stessa Convenzione non è stata ratificata da tutti i Paesi arabi, in particolare da quegli stati che accolgono migliaia di migranti sui loro territori, in maniera definitiva o per transito.

Mehdi Mabrouk è stato Ministro della cultura in Tunisia nel 2012-2013. Attivista politico, sindacale e per i diritti umani, è stato membro dell’Alta Commissione per la realizzazione degli obiettivi della Rivoluzione, della giustizia e della transizione democratica.

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