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Elias Khoury e il potere dei ragazzini

Dov'è la Casa del Mio Amico? 1987, Abbas Kiarostami
Dov’è la Casa del Mio Amico? 1987, Abbas Kiarostami

di Mohga Hassib (Egypt Independent 23/09/2012). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

Il critico e genio letterario libanese Elias Khoury, in visita la scorsa settimana all’Università Americana del Cairo, ha iniziato la sua speciale lezione analizzando il film di Abbas Kiarostami “Dov’è la Casa del Mio Amico?” (1987). Il protagonista del film iraniano è un ragazzino che cerca di restituire al suo amico il quaderno sottrattogli per caso, così da metterlo in salvo dalla punizione scolastica. Il film fa eco a metafore di un regime dittatoriale. Ma per Elias Khoury ci offre anche una nuova dimensione del mondo, vista dagli occhi dei ragazzini, senza maschere e liberi da un discorso dominante.

Nella sua lezione dal titolo “Verso un Codice Etico-Intellettuale ai Tempi delle Rivoluzioni Arabe”, Khoury ha sentito che non c’è modo migliore di riscoprire il mondo se non attraverso gli occhi di un bambino, che riflettono la “profonda crisi” raggiunta dalla società. Nel farlo ha ricordato come i “Ragazzini delle Pietre” – come erano stati ribattezzati a livello internazionale – hanno occupato la scena politica nel 1986-87, durante la prima intifada. I ragazzini palestinesi hanno allora causato un sollevamento, lanciando pietre all’esercito israeliano. Questo è avvenuto a quattro anni di distanza dal massacro di Sabra e Shatila del 1982, ed è divenuto uno strumento per gettare luce sulle atrocità della guerra. Tuttavia, dice Khoury, “La responsabilità non è dei ragazzini, ma si tratta di uno sviluppo naturale quando i politici palestinesi falliscono nel prendere una posizione politica”.

Riferendosi alla Palestina, lo scrittore dice che “è una società esiliata perché le è negata la propria esistenza”. Il punto di vista espresso da Khoury è quello dell’occhio di un uccello. La negazione è divenuta esilio, e tra l’ostruzione di politica e intelletto, i Ragazzini delle Pietre dell’intifada sono venuti alla luce. Essi sono stati usati come strumento culturale che ha formulato una visione cinematografica, alla ricerca di un nuovo linguaggio. Con le rivoluzioni arabe non è molto diverso. Khoury ha citato l’esempio del cadavere torturato di un bambino di 13 anni, siriano, evento che ha infiammato una rabbia a lungo sopita nelle città al margine della Siria, e ha parlato poi di tutti gli emarginati e le minoranze che dal 2011 sono riusciti a condurre alla caduta dei regimi. Le rivolte in Bahrain e in Siria, portate avanti senza una leadership, non hanno precedenti.

In Tunisia è stato il suicidio di Mohamed Bouazizi, in Egitto la morte di Khaled Said, ed Elias Khoury dice che da quella volta tutti siamo diventati Khaled Said, “l’infezione” si è propagata nei paesi vicini. Nel corso delle lotte, i ragazzini sono presenti. La Siria ha protestato per amore dei suoi ragazzi, che si sono ribellati scrivendo “Il popolo vuole la caduta del regime” sui muri delle loro scuole. Gli atti dei ragazzini portano con sé un metro umanistico, ma non possiamo chiamarla una rivoluzione dei ragazzini, ha detto Khoury. La sua idea è che, per sviluppare un codice etico-intellettuale, bisogna capire che ogni paese adotta un approccio diverso al suo dittatore, pur mantenendo i paesi arabi degli obiettivi comuni. “La rivoluzione ha permesso agli arabi di scoprire unità e divergenze, ed il bisogno di prendere coscienza del significato di democrazia”.

Non c’è “cospirazione, se non per chi la promuove”, dice il critico, affermando che il potere degli islamisti non è frutto di cospirazione, né lo è l’approccio neo-liberale verso l’occidente. Le opere di carità portano inoltre con sé una visione di sviluppo e di giustizia sociale. Per lo scrittore, “la più grande sfida che le rivoluzioni arabe si trovano ad affrontare è quella etica”, citando anche la necessità “di riempire il vuoto creato dalla tirannia”, senza escludere del tutto la religione. Khoury auspica che la società civile si emancipi dal fanatismo e si scrolli di dosso la predominanza dei pianificatori. La sua lezione si è chiusa col suo ormai famoso motto: “La religione è per Dio, la madrepatria è per tutti”.

La serie di lezioni presso l’Università Americana del Cairo andranno avanti fino al 27 settembre ed è stato dato loro il titolo di “Estetica e Politica: Contro-Narrazioni, Nuovi Pubblici ed il Ruolo del Dissenso nel Mondo Arabo”.