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Egitto: gli islamisti e l’esercito a confronto

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Egitto - deposizione Morsidi Nervana Mahmoud (Daily News Egypt 10/07/2013). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

Lo scorso anno, poco prima delle elezioni presidenziali, ho scritto un articolo in cui mi chiedevo se l’Egitto avesse finalmente rotto col mito dei buoni autocrati . Oggi, un anno dopo, mi pongo ancora la stessa domanda visto che l’Egitto continua a lottare tra due forze: gli islamisti e l’esercito. Entrambi hanno chiare tendenze autocratiche, ed entrambi si stanno proclamando i veri guardiani della democrazia, nonostante l’evidenza indichi il contrario.

Nel 2012 molti egiziani (quasi il 52%) hanno scelto di dare fiducia ai Fratelli Musulmani. Nel 2013 la corrente è cambiata e molti hanno deciso di dare fiducia all’esercito. La domanda centrale è come questo sia accaduto e quali siano le implicazioni per il futuro. Per ironia della sorte, la risposta è molto semplice: la leadership dell’esercito ha reinventato se stessa, mentre i leader dei Fratelli Musulmani no.

Senza dubbio il comandante dell’esercito, il generale Abdul Fatah al-Sisi, è stato percepito dalla gente come un uomo dal forte carisma e con capacità di leader. Il suo successo si deve a diversi fattori:

1) La rivoluzione senza leader: l’Egitto ha resuscitato lo spirito del 1919, ma senza un nuovo Saad Zaghloul, e al-Sisi è felicemente entrato in scena per riempire il vuoto. Ha ritratto la sua mossa per destituire Morsi come ciò che Amr Hamzawy ha descritto con l’espressione “coup de grace” – descrizione che fa presa su molti egiziani.

2) Giocare le carte giuste: al-Sisi ha toccato una certa corda usando le parole “democrazia e sostegno”, perché ha capito che la gente non accetta e non accetterà un ruolo esplicito dell’esercito. Questo è un elemento-chiave che ha contribuito a fargli avere l’approvazione del popolo.

3) Mantenere le promesse (almeno per ora): nel giro di 24 ore un presidente ad interim ha giurato, la Costituzione di Morsi è stata abrogata e l’impopolare procuratore generale è stato mandato via. Non importa che l’esercito stia gestendo lo spettacolo da dietro le quinte, ciò che conta per la gente è che sulla scena c’è una facciata civile.

4) Mix di arresti e rilasci: gli arresti di molte figure dei Fratelli Musulmani erano chiaramente votati a spezzare la catena di comando della Fratellanza, e il tempestivo rilascio di alcuni (in attesa di ulteriori indagini) era votato ad alimentarne la confusione, interrompendo qualsiasi responsabilità.

5) Permettere proteste pacifiche: le maggiori congreghe di forze pro-Morsi a Nasr City e Giza non sono state sgomberate, e sia la guida suprema della Fratellanza che il prominente leader El-Erian hanno potuto parlare liberamente, anche quando hanno istigato ad intervenire contro gli oppositori. Vero è che l’esercito ha ucciso quattro manifestanti islamisti disarmati – un grave errore che avrebbe potuto vedere la corrente cambiare corso a suo danno. Ma la successiva marcia di alcuni sostenitori della Fratellanza verso piazza Tahrir e gli scontri mortali che ne sono conseguiti hanno di nuovo intaccato l’immagine della Fratellanza.

6) Nessun coprifuoco (finora): malgrado le violenze, al-Sisi ha resistito alla tentazione di prendere misure militari, aggiungendo così altri tizzoni nella brace della disputa sulla natura del “coup”.

I Fratelli Musulmani hanno continuato ad usare lo stesso approccio che li contraddistingue da 60 anni: una mentalità da vittime. Affermazioni assai forti, accuse di cospirazioni, un giocare con le emozioni e dichiararsi i rappresentanti dell’Islam sono tutte carte che la Fratellanza ama tirare fuori. E questo senza neppure dover menzionare la fatwa del loro Qaradawi che ne sostiene la “legittimità”, un must per ogni musulmano.

Al momento i Fratelli Musulmani hanno diversi obiettivi:

1) Prevenire le frammentazioni: il peggior incubo della Fratellanza è che i suoi membri inizino a riflettere sugli eventi e a porsi domande. Perciò, è importante mantenere i lealisti in questa saturazione delle emozioni e in uno stato permanente di paura.

2) Alzare la posta in gioco: tattica cui aspirano in ogni negoziato dietro le quinte. Vogliono che la paura di un bagno di sangue sia il loro potere contrattuale nei negoziati per la sopravvivenza.

3) Resistenza violenta underground?: in Egitto si teme che la Fratellanza avvii una campagna di defezione tra le file dell’esercito, creando la versione egiziana del Libero esercito siriano. Un servizio di AlJazeera Mubasher mi ha convinta che questa paura ha dei fondamenti. Dubito che ci riusciranno, ma l’esercito al momento si è esteso per tutto l’Egitto ed è vulnerabile a potenziali attacchi terroristici.

Finora nessuno della Fratellanza ha posto la questione fondamentale: perché gli egiziani hanno scelto di dare più fiducia all’esercito che agli islamisti? Facile etichettare la gente come “stupida”. Più difficile è ammettere di aver fallito. Il fallimento dei Fratelli Musulmani risiede nel non percepire come l’esercito abbia reinventato se stesso, e cambiare tattica potrebbe costare loro un pesante prezzo politico.

Mentre in Egitto continuano a svolgersi i funerali delle vittime, diventa fin troppo chiaro che la nazione è ancora tenuta ostaggio da molte vecchie guardie che non sono capaci né di sconfiggersi né di riconciliarsi l’un l’altra. Il “nuovo” esercito ha il sopravvento per ora, contro i “vecchi”, cupi islamisti. Ma la domanda resta: per quanto tempo e a che prezzo?

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