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Torniamo in Egitto, stavolta con Ezzat El Kamhawi

Ezzat_el_Kamhawi
Ezzat_el_Kamhawi

Confessate, vi mancava l’Egitto? Incredibilmente è da qualche mese che non vi parlo di un autore egiziano, nonostante l’enormità della produzione di scrittori di quel paese tradotti in italiano.

Ezzat El Kamhawi fa parte di questa schiera e due libri della sua vasta produzione sono reperibili nelle librerie del Bel Paese.

Prima di addentrarmi nei suoi scritti, però, voglio parlarvi un po’ di lui. Nasce nel 1961 nel governatorato di Sharqia e fin da giovane ha manifestato una predisposizione per la scrittura, tanto che già prima di diplomarsi aveva pubblicato degli articoli sul giornale Al-Gomhuria. Una volta laureatosi al dipartimento di giornalismo dell’università di scienze della comunicazione del Cairo, inizia a lavorare per il giornale Al-Akhbar, con il quale dieci anni più tardi collabora per creare Akhbar al-Adab, una rivista di letteratura molto conosciuta. La sua carriera da giornalista continua fino ad oggi: infatti Ezzat El Kamhawi scrive ancora articoli per Al-Masry al-Youm e per Al-Quds al-Arabi.

Nel frattempo ha intrapreso anche la carriera da scrittore. Come vi accennavo prima, la sua produzione è vasta e comprende sia racconti che romanzi. Tra questi ultimi ce n’è anche uno che ha vinto la medaglia Naguib Mahfouz nel 2012. Il libro in questione è “La casa del Lupo”, in arabo “Beit al-dhib”, una saga familiare che racconta la vita della famiglia Lupo, appunto, attraverso quattro generazioni, circa 150 anni di storia egiziana vissuta da una famiglia dell’Egitto rurale. Purtroppo non è ancora stato tradotto in italiano, ma si può reperire in inglese, oltre che in arabo, essendo la traduzione del romanzo vincitore uno dei premi della Medaglia dedicata a questa pietra miliare della letteratura egiziana e non solo.

In italiano sono stati tradotti due suoi libri. Il primo è un saggio intitolato “Vergogna tra le due sponde” che analizza la drammatica situazione della migrazione clandestina, elencandone i motivi, osservando da vicino una realtà che troppo spesso ricoperta da pregiudizi e false verità diffuse dai media e dalle loro retoriche. Lo stile è semplice, schietto e non risparmia critiche verso nessuna delle sponde del Mediterraneo. È stato pubblicato dalla casa editrice Ensemble nella collana Transculturazione nel 2014.

L’anno successivo, finalmente, esce in italiano un suo romanzo intitolato “La città del piacere”, pubblicato dalla casa editrice Il Sirente nella collana Altri Arabi, tradotto da Isadora D’Aimmo. Si tratta, in realtà, del primo romanzo pubblicato dallo scrittore egiziano, uscito in lingua originale nel 1997.

È un oggetto a cui sono affezionata, visto che mi è stato regalato da un’amica durante la presentazione del libro in presenza dell’autore, lo scorso settembre, qui a Roma. È un libro breve, ripartito in tanti piccoli frammenti, ognuno dei quali cerca di completare la percezione sempre parziale che il lettore ha di questa Città del Piacere. È una città di cui si sa poco e quel poco che si sa sembra molto confuso. È certo che sia stata fondata dalla Dea del Piacere e che sia regnata da un re lussurioso, come tutti i suoi abitanti del resto. Sembra, però, che questa ricerca continua del piacere ottenebri le menti della popolazione, non permettendole di uscire da questa città.  Le immagini sono incalzanti e sempre diverse. Non è chiaro se il narratore parli direttamente al lettore o con un’altra persona e il lettore stia solo ascoltando la loro conversazione.

La lettura lascia un sapore strano in bocca, né amaro né dolce. È quasi attrazione verso questo luogo che è fantastico e al contempo così reale. Ricorda, per alcuni versi, le città del Golfo e gli Emirati Arabi, sfavillanti di negozi, da un passato leggendario ormai dimenticato, in cui, con i soldi, si può fare praticamente ogni cosa.

Un romanzo diverso, insomma, che si discosta dalla distopia classica, per immergersi in un filone completamente nuovo e ancora tutto da esplorare.

Buona Lettura!