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Egitto: dal riso al pianto

Bassem Youssef, mesalam.deviantart.com
Bassem Youssef, mesalam.deviantart.com
Bassem Youssef, mesalam.deviantart.com

di Emilio Menéndez del Valle (El Pais 04/04/2013). Traduzione di Claudia Avolio.

Nel 3200 a. C., il faraone Menes adottò il titolo di Unificatore dei due regni dopo la fusione in uno dell’Alto e del Basso Egitto. Oggi Bassem Youssef, comico e stella televisiva vessata dagli islamisti, chiama il presidente Morsi unificatore dei poteri, per aver posto a suo servizio praticamente tutto ciò che la Costituzione consacra. Il presidente egiziano sostiene di non aver potuto fare che così per via dell’ “ostruzionismo” di altri attori politici. Non sembra disposto ad accettare che, l’aver vinto democraticamente delle elezioni com’è il suo caso, non lo legittima alla concentrazione dei poteri. Senza dubbio, il fatto che nell’Islam le linee di demarcazione tra cultura, religione e politica non siano definite è parte del problema. Da qui il vantaggio che sfruttano e il rischio che coinvolge i fondamentalisti islamici. Un paio di decenni fa si sosteneva che non costituissero alcuna alternativa, che erano piuttosto un segno di crisi. Allora l’arabista François Burgat diceva che il fondamentalismo islamico è il rumore che fa la gola araba quando inghiotte la modernità, non quando la espelle.

Ciononostante, da allora ci sono stati sufficienti segnali e fatti per dedurre che in alcuni Paesi arabi, Egitto incluso, la gola araba si sta strozzando. Di sicuro quella del presidente Morsi, che ha attentato alla separazione costituzionale dei poteri, supportato in una concezione politico-culturale che si allontana dalla modernità. Se affermo che l’Islam ha bisogno di una riforma che renda difficile il fanatismo islamista, forse mi si accuserà di essere semplicistico. Tutti i fondamentalismi – ebraico, islamico, cristiano – sono indesiderabili. Il vantaggio di quello cristiano sull’Islam è che è nato sei secoli prima e ha superato tappe che a quest’ultimo manca ancora di percorrere. L’Unione Europea ha visto nella cosiddetta primavera araba – rovesciamento di dittature miserabili e crudeli al cui sostentamento noi stessi avevamo contributo nel corso di decenni – un’opportunità per autoredimersi dal danno provocato e dalle vergogne maldigerite. Ma la democrazia, come l’Alto Rappresentante per la Politica Estera ha riconosciuto, una democrazia radicata e sostenibile, è un lungo processo che richiede impegno, pazienza e duro lavoro.

Difendo la compatibilità tra Islam e democrazia. Ma una democrazia definitivamente radicata e sostenibile non è opera di un decennio per un altro in quelle aree geografiche in cui la cultura e la Storia sono diverse da dove nacque, cioè l’Europa. Perché la democrazia nascesse così come la intendiamo è stato necessario abbandonare le certezze assolute. È successo quando si è rinunciato alla certezza, quando si è diffusa la convinzione che un uomo non possa imporre a un altro uomo la sua certezza. Nel centro e nel nord dell’Europa si insegna nelle scuole che la democrazia è figlia della Riforma protestante. A partire da questa, l’individuo era responsabile dinanzi alla divinità per il modo in cui viveva la propria vita. La Chiesa poteva diffondere una determinata concezione della volontà di Dio, ma in ultima istanza decideva unicamente la persona – ogni persona. È svanito perciò il concetto di divinità come unica, assoluta e obbligatoria fonte di riferimento nel pubblico e nel privato.

Questa riforma – sconosciuta ancora nell’Islam e che il fondamentalismo islamico isola – ha permesso nel 1689 a John Locke di scrivere nella sua Epistola sulla tolleranza quanto segue: “Anche se l’opinione religiosa del magistrato sia ben fondata, se io non sono del tutto persuaso di ciò, non ci sarà sicurezza per me nel seguire quel cammino. Nessun cammino per il quale io avanzi contro ai dettami della mia coscienza mi porterà alla dimora dei beati”. In Europa la Rivoluzione Francese e l’assoluta fiducia hegeliano-marxista nella razionalità della Storia, hanno introdotto in un lasso temporale l’illusione di un altro tipo di certezza. Oggi di nuovo perduta, in una società in cui alcuni settori si dichiarano postmoderni, increduli e insicuri. Secondo il filosofo cristiano Baget Bozzo, la perdita dell’antica fiduica senza aver reincontrato il concetto stoico e cristiano della provvidenza fa sì che il nuovo sembri minaccioso e il passato si riveli come il caldo nucleo della certezza. Qualcosa del genere sembrano sentire gli islamisti quando preconizzano un ritorno al passato e un riavvento dell’Islam nella politica.

Temo che la necessaria rifoma del mondo islamico non metterà radici finché il diritto al dissenso, fondato sulla relatività delle proprie certezze, vi si consolidi. Nel frattempo, Bassem Youssef – cardiologo chirurgo trasformato in stella televisiva in una nazione in cui la metà della popolazione soffre di orrore cosmico per chi perturba un firmamento di insindacabili certezze – continuerà ad essere vessato da coloro che preconizzano un universo in cui non ci sia posto per il dissenso. Come ha scritto il marocchino Tahar Ben Jelloun, “Gli integralisti perseguono gli scrittori perché sanno che un creatore di narrazioni introduce il dubbio e a volte il riso nella fortezza della certezza. Il dubbio passi pure, ma il riso risulta insopportabile. Che futuro può spettare a una società che ha scordato il ridere?”. Gli islamisti vogliono soffocare il riso della società egiziana e affogarla nel pianto.

Ernst Jünger ricordava nel 1995, al compimento dei suoi 100 anni, che il XXI sarebbe stato il secolo in cui avrebbero fatto ritorno i titani, figura mitologica caratterizzata da un’insaziabile fame di potere. Sono i fondamentalisti islamici i titani di questo secolo? Aspettando che la cultura islamica sia capace di mettere in discussione le “verità assolute”, Bassem Youssef – seppur cosciente del fatto che, come diceva Jünger, viviamo in un brutto momento per i poeti – si è proposto di mettere i bastoni tra le ruote al consolidamento dei titani. E lo fa con l’umorismo e il riso. In una intervista con la stampa occidentale, ha detto: “Io non critico. Faccio satira. E faccio ridere – cosa che risulta ancor più impressionante”. Magari contribuisse a incrinare nella sua nazione la fortezza della certezza.

Emilio Menéndez del Valle è ambasciatore di Spagna ed eurodeputato socialista.

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