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E se invece fosse questo l’epilogo?

E se invece fosse questo l’epilogo? Se questi ragazzi vestiti a festa che si fanno fotografare davanti ai graffiti dei martiri della rivoluzione di Piazza Tahrir, non fossero l’immagine della sconfitta della rivoluzione? Se la rivoluzione, con i suoi simboli ed i suoi luoghi “di culto” non fosse diventata un qualcosa da celebrare ed ammirare da lontano come le Piramidi di Giza?
Un’altra faccia dell’Egitto, e del Cairo in particolare, sembra negare con forza tutto questo. La parte attiva di questa città, fatta di giovani che si mettono in gioco che discutono, si confrontano e lottano per cambiare questo paese, con una forza ed una dignità che in Italia abbiamo perso. Come si può far conciliare queste due personalità in un unico sistema?
Camminando per le strade del Cairo queste domande mi tornano spesso in mente. In queste settimane continuo a cercare una risposta a questi dubbi, la cerco intorno a me, ma ancora non riesco a districarmi fra le mille contraddizioni che popolano questa città.
Perché il Cairo, la città dove il tempo non esiste, dove le ore si espandono all’infinito, dove non c’è confine tra la notte e il giorno; questa città richiede tempo e pazienza per essere compresa.
L’unica cosa che appare chiara è il cambiamento che la sta attraversando. Un cambiamento ignorato dai media nazionali ed internazionali, troppo attenti a descrivere ed analizzare le vicende politiche istituzionali. La politica egiziana, quella dei palazzi del potere, è profondamente lontana dalle lotte quotidiane portate avanti da una parte dell’Egitto che affronta giornalmente ed attivamente i vari problemi del paese, dalla povertà alla disoccupazione, dall’emarginazione femminile all’analfabetismo, dal rapporto con la religione allo sviluppo di un turismo sostenibile. In questo Cairo bisogna riporre le speranze e su di esso bisogna accendere i riflettori, per descrivere veramente l’eredità di quella rivoluzione.

Silvia Di Cesare