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Doha, i tempi della speranza

È bastata una dichiarazione di intenti da parte delle autorità qatarine di voler cambiare la legge sul lavoro attualmente vigente per infondere un’aria di eccitata speranza e attesa nella comunità degli espatriati che lavora qui.

Negli ultimi anni, la legge attuale, che si basa sul sistema del Kafala (sponsoring), è stata oggetto di aspre critiche e denunce da parte delle organizzazioni internazionali per i diritti umani e ovviamente dagli stessi lavoratori, che vivono in prima persona una condizione assai complicata che li pone alla mercé dei loro sponsor.

La Kafala significa che chiunque voglia entrare in Qatar per lavoro non può prescindere da uno sponsor locale, che esso sia persona fisica o una Società: in entrambi i casi, sarà sempre un qatarino a decidere del destino del lavoratore, poiché tutte le società registrate in Qatar devono avere un socio di maggioranza qatarino.

Shihab, un tecnico indiano che ho conosciuto qualche giorno fa, dopo i primi saluti mi ha confidato che è estremamente contento della proposta di legge, che secondo lui costituirà una svolta importante nella vita degli espatriati. Shihab ha più volte dovuto rinunciare al suo biglietto aereo per tornare in patria poiché il suo garante locale non era raggiungibile per potergli firmare l’autorizzazione a lasciare il Paese. In base al progetto di legge annunciato dal ministro del Lavoro qatarino, questa autorizzazione dovrebbe essere sottratta dalle mani dei datori di lavoro e fatta gestire da un sistema automatizzato che in 72 ore fornirebbe il lasciapassare.

Un’altra norma che la nuova legge prevede di abolire è quella comunemente chiamata in Qatar come NOC (Non Objection Certificate), che permette al lavoratore di cambiare datore di lavoro. Senza questa autorizzazione, anche in questo caso firmata dal garante che si intende lasciare, nessun espatriato ha la possibilità di cambiare occupazione.

Sarhan, Mahmud e Vincent, rispettivamente bengalese, eritreo e ghanese che lavorano nell’albergo dove ho alloggiato fino a poco fa, mi hanno confidato che questa abolizione costituirebbe una grande possibilità per loro. Di fatti, la flessibilità del mercato di lavoro qatarino è quasi bloccata proprio per via di questa norma che fa sì che o ci si rassegna a non lasciare il datore di lavoro che ha ha fatto da garante per il primo ingresso, qualunque siano le condizioni e il salario, o si rischia di dover lasciare il Paese alla scadenza del contratto con l’obbligo di non metterci più piedi per ben due anni.

Un’altra pratica deplorabile, di cui pagano il prezzo soprattutto le collaboratrici domestiche, è quella della confisca del passaporto, che riduce i lavoratori ad una condizione di prigionia e schiavitù. La nuova proposta di legge innalza l’ammenda da 10.000 Rial a 50.000 Rial per ogni passaporto confiscato contro i garanti che effettuano questa pratica.

Per tutta la settimana scorsa, questa riforma ha tenuto banco nei mass media, fra i qatarini e chiaramente fra le comunità dei migranti che da tanto tempo auspicano un cambiamento di rotta in questo ambito. Tuttavia, non mancano gli scettici, sia fra gli espatriati che fra i qatarini, ognuno per  motivi diversi.

Alcune associazioni delle comunità migranti in Qatar trovano la proposta di legge al di sotto delle aspettative, poiché non prevede tempi certi entro i quali dovrebbe entrare in vigore; inoltre, essa non chiarisce come intende superare il sistema del Kafala, poiché accenna solo a grandi linee che il rapporto lavorativo sarà gestito da contratti individuali. I qatarini, invece, temono che con la nuova legge si possa creare una situazione di caos al quale l’economia del Paese non è affatto pronta; altri invece chiedono che le norme proposte non vengano applicate alle collaboratrici domestiche.

Ma aldilà delle incertezze e delle aspettative, ciò che è sicuro è che senza i lavoratori stranieri il Qatar collasserebbe.

Haytham, un giovane egiziano laureato in economia è che a Doha fa il gelataio, mi ha confidato sorridente che questa proposta di legge è merito dei prossimi campionati di calcio che nel 2022 si svolgeranno in Qatar e che ha fatto aprire gli occhi del mondo su una condizione molto complessa.

Forse questo dovrebbe consolare Josep Plater e fagli pensare che affidare l’organizzazione dei mondiali al Qatar è stata la più saggia decisione della sua presidenza della FIFA, poiché a beneficiarne sarà forse quell’esercito di lavoratori che negli stadi non vedremo mai, anche se a costruirli sono stati proprio loro.

 

Salamat