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Damasco più pericolosa di Baghdad

damasco Di Ghassan Charbel (AlHayat 18/02/2013). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

Disse, “Ciò che sta accadendo in Siria è molto più grave di ciò che è accaduto a Baghdad un decennio fa. La natura del conflitto lì è diversa e più complessa, e la regione è più fragile di quanto fosse il giorno in cui il regime di Saddam Hussein è stato rovesciato. A Baghdad l’America era decisa ed aggressiva. A Damasco l’America è cauta, esitante e col passo felpato. A Baghdad Teheran ha tratto beneficio dalla caduta di Saddam e si stava preparando a raccogliere i frutti della sua assenza. A Damasco Teheran è bloccata in un confronto e difende il proprio progetto, ruolo e prestigio. La regione cambierà da Damasco, e non Baghdad”.

E continuò: “Non esistono valvole di sicurezza arabe. L’Egitto di Morsi è impantanato nel subbuglio. L’Iraq di Maliki sta ricadendo in una crisi dei componenti. La Siria di Assad è teatro di una feroce battaglia che combina rivoluzione, lotta interna, uno stallo regionale e un’ impotenza internazionale. Alla luce di tali fatti, uno può aspettarsi solo il peggio”. Ero scioccato dalle parole del funzionario arabo così gli chiesi di elaborare i concetti. Mi disse che l’aspetto più pericoloso della crisi siriana è l’incapacità di chiunque di fare un passo indietro. L’opposizione non può farlo dopo 100 mila morti e una devastazione tale che richiede 100 miliardi di dollari per affrontarla. Il regime non può indietreggiare, dopo tutto ciò che ha perpetrato. In più, il regime stesso si impernia personalmente su Bashar al-Assad. Perciò Lakhdar Brahimi è tornato a mani vuote da Damasco, appena si è trovato nella “zona taboo”.

Il funzionario proseguì dicendo che la Russia – spintasi molto in là nel sostenere il regime siriano – sta trovando difficile compiere un passo indietro dalla sua posizione. Inoltre la vera chiave si trova a Teheran, non a Mosca. L’Iran si sta comportando come se la caduta del regime siriano fosse una catastrofe e non solo una perdita. Per questo sta investendo con tutto il suo peso nel conflitto in atto. Sa che l’uscita di scena dalla Siria minerebbe la sua presenza in Iraq e in Libano, e darebbe una scossa alla sua immagine interna. I rapporti con la Siria di Assad sono l’investimento iraniano più grande e di lunga data nella regione, e anche il più oneroso. Recidere l’arto siriano dall’edificio che si estende da Teheran fino a Beirut passando per Baghdad vorrebbe dire che l’Iran ha perso la battaglia per il suo ruolo. E ciò è più importante della bomba nucleare, che può farle mantenere un certo ruolo ma che potrebbe essere impossibile da produrre.

Non può indietreggiare neppure Hezbollah. La caduta del regime siriano lo relegherebbe a un ruolo locale, quando un tempo rivestiva invece un importante ruolo regionale. Inoltre significherebbe anche che il campo della Mumana’a [pro-resistenza] perderebbe la sua profondità araba una volta fornita dalla Siria. Il funzionario catturò poi la mia attenzione con ciò che considera uno sviluppo molto pericoloso. Il leader militare dei ribelli, il general maggiore Salim Idris, ha minacciato di chiamare a rendere conto Hezbollah del suo operato “prima o poi”. E che i suoi combattenti tratteranno i militanti di Hezbollah nella regione di Homs come mercenari e non come prigionieri di guerra. Chiunque esamini la mappa si renderà subito conto della serietà di una dichiarazione simile, e che i rapporti tra Siria e Libano e i legami sunnita-sciiti si troverebbero davanti un test difficile se il regime dovesse cadere.

Il funzionario mi disse che “il capitolo più arduo” della crisi siriana si sta avvicinando sempre più, ormai. Se il regime riuscisse a tenere per sé parte della Siria, significherebbe che la sua minaccia  diverrebbe minaccia ai confini stessi. Se il regime venisse rovesciato d’un colpo, questo ci darebbe una Siria instabile per anni. Nel frattempo, ogni radicamento di al-Qaeda in territorio siriano diventerà estremamente rischioso. Tutti gli scenari dunque confermano che Damasco è più pericolosa di Baghdad. Io rimasi scioccato dalle parole del funzionario arabo, che non tralasciò di interrogarmi circa gli incidenti ad Arsal, nella valle della Bekaa.

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