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Daish sopravvive tra agende contrastanti

Di Mona Alami. The Daily Star Lebanon (01/12/2014). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

La coalizione internazionale contro Daish (conosciuto in Occidente come ISIS) ha dato risultati controversi. Per quanto il controllo di Daish su vaste aree della Siria e dell’Iraq potrebbe aver scatenato l’indignazione internazionale, le agende contrastanti dei vari Paesi proprio per quanto riguarda la Siria e l’Iraq hanno notevolmente complicato la campagna anti-Daish.

Una coalizione internazionale è stata messa in atto solo quando Daish dalla Siria ha conquistato Mosul spingendosi troppo vicino alle aree curde dell’Iraq, aree che producono circa il 10 per cento del petrolio iracheno e sono sede della statunitense Central Intelligence Agency. La risposta internazionale alle ripercussioni della guerra siriana è stata tarda ed esitante. Questa titubanza è stata la conseguenza del gioco pericoloso portato avanti dagli attori regionali e internazionali nei confronti di Daish, ora la più grande e ricca organizzazione terroristica nel mondo.

A dimostrazione di ciò c’è l’oscuro rapporto della Turchia con Daish. Dall’inizio della rivoluzione siriana, l’obiettivo primario della Turchia è stato quello di rovesciare il presidente Bashar Assad. Quando ciò non è stato possibile, Ankara ha dato libero passaggio ai jihadisti.
La Turchia non è la sola ad aver adottato una politica ambivalente nei confronti di alcuni gruppi radicali. Ad agosto, un ministro tedesco ha accusato il Qatar di finanziare i militanti di Daish. La ricerca qatariota di riconoscimento internazionale comprende anche rapporti oscuri tra lo Stato del Golfo e organizzazioni radicali come Daish e il Fronte al-Nusra.

La guerra contro Daish è stata usata a giustificazione dell’attuale politica americana verso la Siria, giacché negli ultimi mesi, alcuni ambienti hanno invitato a trattare il regime di Assad come un alleato nella lotta contro l’organizzazione terroristica. Inviti che sembrano adattarsi al modo in cui Obama vede la crisi siriana e al suo impegno ambiguo con le forze anti-Assad.

In tale contesto, ci sono quelli che sostengono che la sopravvivenza del regime Assad sia diventata una questione di necessità, in modo che possa fungere da contrappeso a Daish. Così mentre quest’ultimo viene lentamente “degradato”, Assad resterà, purtroppo, il minore dei due mali in Occidente, cosa che porterà anche a chiudere un occhio sugli abusi delle milizie sciite in Iraq e sul coinvolgimento di Hezbollah in Siria.
Allo stesso tempo, l’Iran potrà continuare a perseguire una strategia di espansione regionale. Negli ultimi dieci anni Teheran ha cercato di allargare la sua sfera di influenza sul mondo arabo, dal Libano all’Iraq. Gruppi militanti sciiti, sia libanesi che siriani o iracheni, vengono ora usati come strumenti per sconfiggere Daish.

Questa visione può aver raccolto qualche sostegno all’interno di molti ambienti politici occidentali, ma rimane controproducente nel lungo periodo. Pensare che militanti sciiti aderenti a posizioni estreme possano combattere con successo un’organizzazione radicale sunnita, o che un regime autoritario costruito sul settarismo possa portare la pace in un paese diviso su base religiosa, è assurdo. Solo i moderati possono combattere e vincere la battaglia contro Daish.

Finché non sarà fatto un vero sforzo per rafforzare i moderati iracheni ed i siriani sunniti, la “guerra al terrore” rimarrà una comoda scusa per evitare di affrontare le questioni cruciali in Iraq e in Siria e per perseguire politiche controverse contro un’organizzazione che getta benzina sul fuoco che sta divorando il Medio Oriente.

Mona Alami è una giornalista e ricercatrice franco-libanese che scrive di questioni politiche ed economiche nel mondo arabo.

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