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Daesh cattura Ramadi: battuta d’arresto o punto di svolta?

Daesh

Di Chris Doyle. Al-Arabiya (20/05/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Si può discutere per ore di Daesh (ISIS), ma due cose sono sicure: il gruppo è un esperto nell’arte di come conquistare un titolo di giornale e di come confondere i suoi oppositori. Le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, nonché i post sui social network, sono una preda facile grazie alla combinazione di violenza teatrale, minacce e caos con un network mediatico assai sofisticato.

Tuttavia, niente attira l’attenzione come il successo, soprattutto se i tuoi avversari non fanno altro che avanzare proclamando la tua sconfitta. Il presidente statunitense Obama, usando l’acronimo ISIL per riferirsi al gruppo, lo scorso 11 febbraio ha dichiarato: “L’ISIL è sulla difensiva e l’ISIL perderà”. A queste convinzioni ha fatto eco pochi giorni fa il generale Weidley, capo dell’operazione USA contro l’organizzazione jihadista, quando il 15 maggio ha detto: “Crediamo che Daesh stia perdendo in Iraq e Siria e che rimane sulla difensiva”.

Eppure la cattura di Ramadi da parte di Daesh del 17 maggio ha in qualche modo messo in dubbio questi moti di ottimismo. Nonostante la perdita di Kobane e Tikrit, la cattura di un altro principale centro urbano iracheno dimostra la capacità di Daesh di continuare a spingere per espandere il suo auto-proclamato califfato. Le proteste degli americani che sostengono che Ramadi non è cruciale per il futuro dell’Iraq possono andare bene per Fox News, ma gli iracheni sanno la verità.

Quindi, cosa significa tutto questo? Le autorità statunitensi lo descrivono come niente più che “una battuta di arresto”. Altri invece lo vedono come “un punto di svolta”, un momento importante nel quale l’Iraq si frattura in parti diverse, in cui gli iracheni sunniti e quelli sciiti non devono più fingere di essere capaci di condividere lo stesso sistema di governo. In altre parole, la morte dell’Iraq moderno.

Le previsioni di un punto di svolta sono così frequenti in Medio Oriente che mandano la maggior parte della gente in tilt. La questione qui riguarda un altro round di vergognose vendette settarie che macchieranno di sangue la provincia di Anbar dopo il dispiegamento delle Unità di Mobilitazione Popolare (Al-Hashd al-Sha’abi, in arabo) a Ramadi. Queste milizie sciite sono già accusate di numerosi crimini settari, commessi soprattutto durante la riconquista di Tikrit. Daesh conta sul fatto che le milizie non faranno che quello, mentre confonde la popolazione irachena sunnita convincendola di essere l’unica forza capace di proteggerla. La sua brutalità è fatta per polarizzare e dividere. Qualsiasi crimine delle milizie sciite servirà immediatamente lo scopo di Daesh per assicurarsi il controllo di Anbar.

Anche la teoria della battuta d’arresto ha i suoi meriti. Dopo la sua avanzata nel nord della scorsa estate, compresa la cattura di Mosul, Daesh ha avuto a che fare con un notevole nemico, una coalizione di ben 60 Paesi. Mentre gli Stati Uniti hanno condotto centinaia di attacchi aerei, l’Iran ha aumentato il suo sostegno al governo iracheno e alle milizie sciite. Questo ha fatto sì che Daesh perdesse Kobane e Tikrit.

E se questa battuta di arresto potesse portare a un diverso punto di svolta? Finora, la coalizione ha puntato tutto sulle forze terrestri in Iraq, sia quelle governative che quelle curde, per essere dove gli aeri non potevano arrivare. Tuttavia, ci si è accorti che questa strategia raffazzonata è difettosa. Daesh è un oppositore ostinato che ha a disposizione una gamma di tattiche e strategie difficili da scardinare.

Che la saga di Ramadi possa portare a un ripensamento della strategia della coalizione? I segni indicano che poco potrà cambiare. Quello che è chiaro che che gli attacchi aerei da soli non riusciranno a “distruggere definitivamente Daesh”, come auspicato da Obama. Il governo iracheno potrebbe non essersi allontanato troppo dalla dittatura settaria di Nuri al-Maliki, ma Abadi deve ancora dimostrare di poter creare un Paese unito di fronte a potenze come l’Iran che cercano di evitarlo. La sua dipendenza dalle milizie sciite estremiste per combattere i militanti estremisti di Daesh non ha fatto altro che sottolineare non solo che Abadi ha poca scelta, ma anche che non è riuscito ad impegnarsi con le tribù di Anbar.

Qualsiasi ripensamento non può basarsi solo su una maggiore forza di muscoli per sconfiggere Daesh. Qualsiasi piano dovrà includere una strategia politica e di comunicazione efficace e con la quale poter lavorare. La coalizione anti-Daesh deve raggiungere tutti i settori della società irachena e dimostrare con convinzione che il futuro dell’Iraq può includere tutte le comunità che lo compongono.

Chris Doyle è direttore del London-based Council for Arab-British Understanding (CAABU).

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