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Con Dabiq, Daesh perde la città simbolo della sua propaganda

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Piccolo borgo, quasi insignificante a livello militare, la città siriana era diventata una parte centrale della propaganda apocalittica di Daesh (ISIS)

Di Madjid Zerrouky. Le Monde (16/10/2016). Traduzione e sintesi di Claudia Negrini.

L’apocalisse promessa da Daesh (ISIS) dovrà aspettare. Dopo 48 ore di bombardamenti intensi da parte dell’artiglieria e dell’aviazione turca, alcuni gruppi dell’Esercito Libero Siriano sono entrati, domenica 16 ottobre, a Dabiq, la piccola città simbolo nel nord della Siria che i combattenti di Daesh promettevano sarebbe stata la tomba finale dei “crociati”.

Anche le forze speciali di Ankara, di solito discrete, si sono lasciate andare a “selfie” di circostanza durante la mattinata, a braccetto con i ribelli siriani nei vicoli e nelle vie deserte di questa città, che dista una dozzina di chilometri dalla frontiera turca.

Quasi del tutto insignificante a livello militare, la presa di Dabiq è soprattutto simbolica. Borgo rurale che contava meno di 5.000 abitanti prima della guerra, è diventata, suo malgrado, un elemento della propaganda militare di Daesh.

Prima, era conosciuta per ospitare il mausoleo del settimo califfo della dinastia Omayyade, Sulayman Ibn Al-Malik (674-717) che i combattenti di Daesh hanno distrutto senza scrupoli nell’estate del 2014, in nome della lotta contro i “simboli idolatri”.

Ha acquisito la sua “fama” dopo essere stata menzionata ad oltranza da Daesh come luogo simbolo di una tradizione profetica particolarmente popolare tra alcuni loro combattenti: quella del giorno del giudizio. Un hadith attribuito al profeta Maometto evoca una battaglia decisiva che avrebbe visto scontrarsi musulmani e Romani, i Bizantini all’epoca e che adesso sono i “crociati” e gli occidentali, nella propaganda di Daesh.

Uno slogan che non è nuovo: il “padre” di Daesh, il giordano Abu Moussab Al-Zarkawi, ex-capo di Al-Qaeda in Iraq, lo usava già del 2006: “La scintilla è stata accesa in Iraq e [è diventata] un fuoco che brucerà, se Dio viole, finché non avrà consumato l’esercito della croce a Dabiq.”

Daesh ha dato il nome della città anche alla sua rivista trimestrale in inglese, una rivista di propaganda diffusa dal 2014 e fino al 2016 su Internet, per il pubblico occidentale.

“Nessun combattente iracheno o siriano si è mai unito al gruppo estremista per Dabiq”, tranquillizza Hosham Dawod, antropologo al Centre National de la Recherche Scientifique, specializzato sulla società irachena.

“Daesh ha reclutato puntando sul suo profilo di difensore dei musulmani sunniti e sul suo progetto territoriale. Questa profezia è sicuramente servita alla nuova generazioni di combattenti, in rottura con quelli vecchi, come giustificazione ideale ed elemento di mobilitazione simbolica. Ma non bisogna esagerare. Questa dimensione apocalittica è anche una proiezione occidentale alla quale Daesh risponde e che cerca di alimentare.”

L’esercito crociato, dunque, sarebbe composto dai ribelli siriani sunniti, appoggiati dalla Turchia, che hanno espulso i combattenti di Daesh dalla loro “città mitica”. I ribelli che, nell’impeto della vittoria a Dabiq e dopo aver “ridotto Daesh in polvere”, promettevano la stessa sorte alle forze del regime siriano che assediano e bombardano i quartieri orientali di Aleppo, in mano a ribelli. Un altro paio di maniche.

Per quanto riguarda Daesh: “Quello che sta succedendo via terra a Mosul, dove la battaglia si prepara [l’offensiva è stata lanciata nella notte tra domenica 16 e lunedì 17 ottobre] e a Raqqa, è infinitamente più importante per il futuro, della caduta di Dabiq” conclude Hosham Dawod. Se ci deve essere una battaglia decisiva, deve avere luogo nei bastioni di Daesh.

Madjid Zerrouky è un giornalista de Le Monde.

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