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Cosa vuole Israele?

Di Ma’mun Findyy. Asharq al-Awsat (20/11/2012). Traduzione e sintesi di Carlotta Caldonazzo.

Cosa vuole il governo israeliano a livello strategico da Gaza per squadernare da quasi un anno un inferno di lava su uno dei popoli più poveri e meno fortunati della Terra, tra gli ultimi del mondo? Basterebbe chiedere a Netanyahu, spinto dal furore del potere all’assassinio e alla barbarie, quale sia l’obiettivo strategico della feroce campagna che ogni anno si abbatte sulla Striscia di Gaza, sempre con lo stesso richiamo alla lotta al terrorismo. E’ forse riuscita la campagna contro Hezbollah nel 2006? Probabilmente no, come probabilmente neanche i bombardamenti su Gaza saranno efficaci. Forse da uno dei due casi, o da entrambi, è sotteso uno scopo strategico significativo che riguarda la stabilità dello Stato di Israele o la sicurezza regionale?

Anzitutto la mappa strategica della regione risulta confusa. Guerra in Siria, disordini nel Sinai, ai confini con la Striscia di Gaza, tensione in Giordania. Si può dunque affermare che Tel Aviv sia  a un punto di svolta anche rispetto ai trattati di pace con Egitto e Giordania? O forse gli attacchi alla Striscia di Gaza sono solo un esame e un messaggio tattico che non ha nulla a che fare con lo scenario strategico?

D’altra parte l’aspetto tattico risulta evidente dalle dichiarazioni di Benjamin Netanyahu. Mettere alla prova i Fratelli musulmani al governo in Egitto per vedere quanto siano disposti a schierarsi con Gaza. Il presidente egiziano Morsi ha già capito e l’ha pubblicamente riconosciuto. Forse Israele intende insultare il presidente egiziano e rivelarne l’indole ai paesi vicini e al mondo? Dal punto di vista dell’attuale governo egiziano il risultato degli attacchi su Gaza non andrà probabilmente oltre quanto accadeva sotto il vecchio regime di Mubarak, che più volte ha richiamato il proprio ambasciatore a Tel Aviv o espulso il suo omologo al Cairo. Tuttavia, malgrado la cautela che finora ha prevalso, non si esclude che una climax di tensione possa sfuggire di mano, anche perché ai tempi di Mubarak la questione palestinese serviva solo da pretesto per giustificare il ruolo guida dell’Egitto nel mondo arabo e, di conseguenza, gli aiuti di Washington. A proposito di Usa, vale la pena osservare che ad essere messo alla prova da Netanyahu è anche il presidente Barack Obama, cui l’amministrazione israeliana aveva preferito Mitt Romney, sebbene anche il candidato repubblicano aveva garantito sostegno a Israele. Ciò che accade in Giordania inoltre dovrebbe costituire un deterrente a ulteriori attacchi a Gaza, a meno che il governo israeliano non voglia aumentare la tensione interna a questo paese, fino ad abbatterne il regime. Quali che siano i guadagni di Israele rispondono a una politica miope. Anche se la Giordania dovesse sprofondare nel peggiore degli abissi, Tel Aviv non potrebbe aspettarsi guerre asimmetriche come quelle che ha condotto contro Gaza o contro Hezbollah.

Gli Usa e la Nato hanno fallito in una regione in cui prevalgono movimenti dalla struttura primitiva come al-Qaeda o i talebani. Se hanno fallito in Afghanistan nonostante il sostegno del resto del mondo, poi in Iraq, forse Tel Aviv vincerà una battaglia persa dalle cinque maggiori potenze mondiali? La guerra asimmetrica probabilmente volgerà sempre a favore dei movimenti, non degli stati. Infatti, poiché non esistono obiettivi strategici che  possa raggiungere in questo attacco a Gaza, il governo israeliano potrà superare questa incapacità strategica? L’arroganza sua e del suo esercito si è rivelata nel 2006 in Libano, dove anche Tel Aviv ha dovuto incassare il colpo. Quanto alla funzione degli attacchi aerei di questi giorni, messaggi tattici si potrebbero inviare a costi di gran lunga inferiori.