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Cosa succederà dopo l’accordo sul nucleare iraniano?

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Di Majid Rafizadeh. Al-Arabiya (14/07/2015). Traduzione e sintesi di Viviana Schiavo.

L’Iran e le potenze del 5+1 hanno raggiunto a Vienna un accordo sul nucleare che porterà alla Repubblica Islamica un po’ di sollievo dalle sanzioni fin dalla prima metà del 2016. Le sanzioni economiche hanno messo in ginocchio l’economia iraniana, tagliando significativamente le sue esportazioni di petrolio. L’accordo di oggi può essere descritto come una vittoria per il presidente Obama ma anche per i governi iraniano, russo e cinese. L’accordo tra i ministri degli Esteri di sette Paesi potrebbe introdurre una nuova era nelle relazioni tra le nazioni occidentali e Teheran che potrebbe giocare un ruolo cruciale nell’equilibrio regionale del Medio Oriente.

D’altra parte, anche se agli occhi degli occidentali l’accordo significa una trasformazione, i leader iraniani lo considerano invece transitorio. In altre parole, è poco probabile che la Repubblica Islamica alteri la sua politica estera (incluso il sostegno al presidente siriano Bashar al-Assad, alla coalizione sciita in Iraq, agli Houthi in Yemen e a Hezbollah in Libano) come risultato dell’accordo. Inoltre, l’accesso a piacimento a qualsiasi sito non è necessariamente garantito agli ispettori ONU.

Dal momento che un accordo non è tale fino a quando tutte le parti in gioco non l’hanno firmato, l’accordo non è stato ancora tecnicamente raggiunto. Per raggiungere un vero accordo e per renderlo effettivo, sono necessari un’altra serie di passaggi che potrebbero presentare complicazioni. Per esempio, l’accordo sarà rivisto dal Congresso statunitense e dai leader iraniani, tra cui gli alti quadri del Corpo della Guardie Rivoluzionarie e l’ufficio del leader supremo, l’ayatollah Ali Khameini. Le due parti si scruteranno attentamente. I leader iraniani, primo fra tutti il leader supremo che ha la parola finale nelle questioni di politica interna ed estera (e che dovrebbe firmare l’accordo), analizzeranno la reazione del Congresso statunitense. Khameini è a favore dell’accordo, visto che il gruppo di negoziazione iraniano non avrebbe fatto nessun passo senza essere autorizzato. Dall’altro lato, il Congresso statunitense probabilmente voterà contro l’accordo, affermando che con quest’ultimo la minaccia iraniana continuerà a sussistere. A questo punto, Obama porrà il veto sulla decisione del Congresso che per rovesciarlo avrà bisogno dei due-terzi dei voti in ogni camera, obiettivo difficile da raggiungere.

L’accordo è stato raggiunto quasi inaspettatamente. In un improvviso cambiamento, il tono negativo espresso dai leader americani e iraniani riguardo alla possibilità di raggiungere un accordo finale è stato trasformato nottetempo in un usuale ottimismo. Ma le principali questioni tecniche, come la data della fine delle sanzioni e la frequenza delle ispezioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), sono state risolte in una notte? Com’è possibile che il pessimismo si sia trasformato in ottimismo in così poco tempo? Ed è veramente la fase finale nella maratona dei dialoghi sul nucleare o c’è dell’altro?

La forza motrice che tiene insieme i gruppi di negoziazione americano e iraniano è principalmente il loro terrore e la paura del presidente Obama di ripercussioni politiche nel caso di un collasso dei dialoghi sul nucleare. La paralisi dell’economia iraniana e la ricerca di Obama di un’eredità in politica estera sono state altre forze motrici. Il divario tecnico tra le potenze occidentali e Teheran è troppo profondo da colmare, ma l’Iran e gli Stati Uniti avrebbero dovuto affrontare considerevoli ripercussioni se i dialoghi fossero falliti. Per i leader iraniani, il collasso delle negoziazioni avrebbe portato a una nuova fase di sanzioni economiche o ad operazioni militari contro le infrastrutture iraniane. Inoltre, per il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, il fallimento dei dialoghi avrebbe significato non avere accesso ai milioni di dollari necessari per sostenere il presidente Bashara al-Assad, il governo iracheno e i suoi vicini sciiti. Il presidente Rohani, che come Obama ha fondato la sua politica estera sull’accordo nucleare, avrebbe perso l’appoggio della sua base politica, non compiendo le sue promesse elettorali.

L’attuale accordo sembra essere una vittoria sia per Obama che per i leader iraniani.

Majid Rafizadeh è uno studioso irano-americano specializzato in politica estera. È inoltre presidente dell’International American Council.

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