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Corsa alle materie prime

Arezki Zerrouki – Le Matin dz (11/11/2012). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo

Di fronte al fluttuare dei mercati internazionali, si rilancia la corsa allo sfruttamento delle risorse minerarie, con una particolare attenzione per quei paesi dell’Africa in cui l’esplorazione è ancora ai primordi e i costi della manodopera sono quasi nulli. Il prezzo dell’oro ad esempio è in aumento soprattutto a causa della sensibile diminuzione della produzione in Sudafrica (secondo gli esperti arriverà a 2mila dollari l’oncia), ma in Mali le esplorazioni costano poche decine di dollari. Viceversa in Cina molte miniere di ferro rischiano di chiudere perché agli alti costi di esplorazione ed estrazione non corrispondono guadagni adeguati.

I magnati dello sfruttamento delle materie prime escogitano tutti gli stratagemmi possibili per fare profitti nel minor tempo possibile, cercando di approfittare degli incentivi fiscali e finanziari adottati dagli stati africani. Molti di questi paesi, in assenza di misure per tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini, si trovano in condizioni di disastro ambientale, devastazione dei paesaggi, contaminazione delle falde acquifere, e pericolo estremo per chi vive vicino ai siti scelti per l’esplorazione o l’estrazione di materie prime. Nondimeno le risorse del sottosuolo continuano a far gola, anche perché è sempre più difficile trovarle e le riserve diminuiscono in modo esponenziale. Di conseguenza gli scavi devono raggiungere profondità sempre maggiori, il che si traduce in un aumento dei prezzi sul mercato.

La frenesia dello sviluppo e la corsa al progresso tecnologico richiedono quantità sempre maggiori di minerali piuttosto rari,  come il coltan, di cui la regione congolese di Kivu detiene tra il 60 e l’80% delle riserve mondiali. Il mercato mondiale dei metalli è dunque in fase di ridefinizione, con tentativi di monopolizzazione dei minerali strategici. La Cina ad esempio esercita un monopolio sui prodotti minerari non perché basi la sua crescita sulla rendita, come fanno altri paesi con il petrolio, ma per alimentare la propria industria specializzandosi in alta tecnologia. Da sola infatti consuma più del 40% delle risorse mondiali di ferro, carbone, acciaio, piombo e di altri minerali. Inoltre, di tutti i “metalli strategici” prodotti nel mondo, la Cina ne produce 24, seguita dall’Australia che ne produce 4 e da Usa, Cile e Russia che ne producono tre. La strategia di Pechino per il controllo del mercato internazionale passa per l’eliminazione della concorrenza, la monopolizzazione della produzione e l’abbassamento dell’offerta sul mercato per aumentare i prezzi. Un meccanismo che riguarda le terre rare, di cui la Cina produce oltre il 95%, ma anche oro, tungsteno, molibdeno, antimonio, litio e altri. La strategia cinese comprende accordi con il Brasile e con diversi paesi africani e di altre regioni del mondo, con l’obiettivo di garantirsi un approvvigionamento capace di perpetuare un tasso di sviluppo a due cifre in un mondo in crisi economica.

Di fronte a simili strategie in Algeria si levano voci che incitano il governo locale a gettarsi nella mischia per rilanciare l’esplorazione del sottosuolo e innescare una crescita economica non basata esclusivamente sull’esportazione di idrocarburi. Su questa linea sono i programmi di sviluppo fino al 2013 e la ristrutturazione del settore dell’industria mineraria, una politica che permetterà di immettere sul mercato interno e internazionale prodotti di alto valore commerciale. L’uso di tecniche moderne di esplorazione inoltre permetterà una conoscenza più profonda del potenziale minerario del territorio algerino, in particolare delle regioni di Eglab e Hoggar, geologicamente simili a molti paesi africani e sudamericani noti per i loro enormi giacimenti di materie prime.