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E’ riprovevole rappresentare il Profeta Muhammad? Intervista ad Abdennour Bidar

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(Di Charb, Charlie Hebdo, 02/01/2013).La rivista francese Charlie Hebdo ha pubblicato nel 2013 due tomi di vignette che raccontano la vita del Profeta dell’Islam. La domanda sorge spontanea: è riprovevole rappresentarlo? Abdennour Bidar, filosofo specialista della religione musulmana, risponde a questa domanda.

Abdennour Bidar: In primo luogo, bisogna sottolineare che non c’è nel Corano stesso un passaggio di divieto esplicito riguardo alle immagini, contrariamente alla Bibbia-nell’Esodo, nello specifico, il secondo dei Dieci Comandamenti recita «Non ti fare scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù ne’ cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra”. La ragione di questo divieto non è dunque da cercare nel testo coranico e neanche in una fatwa “x” in un’epoca “x”. La ragione è metafisica: l’Islam vuole affermare la trascendenza-di Dio, del Corano, del Profeta- in modo così radicale che qualsiasi rappresentazione di Maometto viene accusata a priori di costituire un “idolo”, ossia un’immagine che pretende sostituire con una rappresentazione “fisica” un individuo che tramite la fede si è radicato “al di là” di tutto quanto si possa immaginare di lui. Maometto, o meglio Muhammad,  è in un certo senso troppo santificato per essere incarnato in un’immagine che finirebbe per “svalutare” la sua realtà spirituale. Tutto ciò si pone in netto contrasto con il cristianesimo che incarna la trascendenza del Padre nel Figlio- “multi-rappresentato” sulla Croce nella Storia.

I musulmani possono ridere della dimensione sacra?

Nella maggior parte delle società musulmane, la risposta è no, anche se ci sono ovunque degli ambienti sociali o familiari più emancipati rispetto al controllo religioso. Ma non credo che nel mondo musulmano il sacro possa essere deriso o caricaturizzato pubblicamente. Mi si potrebbe rispondere che il principio secondo il quale il sacro stesso dev’essere oggetto di ironia e derisione è un’idea occidentale, moderna. Ma non sono di questo avviso e penso al contrario che questo bisogno sia universale perché la funzione profonda del ridere è di permettere di sdrammatizzare il rapporto che abbiamo con le cose che consideriamo più importanti o gravi: la morte, l’odio, il sacro.. Non soltanto bisogna ridere di tutto, ma in particolare di ciò che non è per niente divertente o futile- tutte le forme di tragedia, di sublime, di trascendente. L’uomo mostra così la sua vocazione ossia il non lasciarsi impressionare da niente. Che questa cosa non venga capita dall’Islam è secondo me una lacuna, in una civiltà che possiede immensi tesori di profondità. Ad ogni civiltà le proprie forze e le proprie debolezze.

Il fatto di caricaturizzare Maometto come lo si fa con Gesù non è una prova che l’Islam sta diventando una religione come un’altra in Francia?

Prima di tutto ci tengo a precisare una cosa. Non ho trovato divertente la caricatura di Muhammad con il sedere all’aria, mentre mi ero piegato dal ridere vedendolo mentre esclamava: «C’est dur d’être aimé par des cons»!  (“E’ difficile essere amati da degli stupidi!”). Detto questo, penso che solo una fede molto fragile o molto superficiale possa sentirsi destabilizzata da caricature del Profeta. Le reazioni violente rispetto a queste mi sembrano la spia di un’educazione religiosa mediocre: reagire in modo così epidermico è il segno che qualcosa non è stato acquisito nella formazione morale e spirituale dell’individuo, che gli manca una cultura della tolleranza, così come la capacità a relativizzare le proprie adorazioni. Lo si vede attraverso le manifestazioni nel mondo musulmano e in scala ridottissima qui in Francia: le reazioni violente sono portate avanti da una frangia denutrita spiritualmente, che confonde la propria religiosità fatta di convinzioni  semplicistiche-“il Profeta non si tocca”, “non si tocca il Corano”, etc.- con una vera vita spirituale il cui significato neanche la sfiora. In particolare perché i dignitari, imam e altri “saggi in scienze religiose”, che passano la loro vita sui testi religiosi, non ne traggono nell’insieme che  una “dotta ignoranza” acciecata dalle stesse convinzioni di base di cui sopra.

Banalizzare l’Islam rappresentando il suo Profeta non è il miglior favore che si possa fare ai musulmani che vivono in Francia?

La Francia è quel paese- e me ne compiaccio in quanto credente- dove la religione ha l’abitudine di prendere dei grandi calci nel sedere! Credo che ognuno di questi calci le faccia il più gran bene, e che l’Islam non debba sottrarsi alla regola. A suo grande vantaggio. Perché la critica- umoristica e filosofica- è il mezzo grazie al quale la fede religiosa- e al di là della fede religiosa- la percezione spirituale del mondo, riesce a sbarazzarsi poco a poco di tutte le ingenuità e le enormità che la ingombrano e che le impediscono di progredire verso una lucidità e una profondità maggiori. Alla vera fede non importa niente della fede, la vera intuizione spirituale è ciò che resta quando tutto quello che costituisce la religiosità primitiva nella quale ogni individuo inizia la sua vita spirituale viene pulita con la critica. Fin quando la grande azione di demolizione non ingrana, rimarrà impossibile distinguere nel cuore del credente ciò che ha valore da ciò che non ne ha. Voglio aggiungere che troppo spesso il nemico della dimensione religiosa- l’unico nemico- sono i credenti, che la riducono a qualcosa che non è stato né pensato né del tutto interiorizzato ma solo ripetuto meccanicamente.

 Cosa ne pensa del discorso che consiste a dire che dato che gli immigrati sono vittime di discriminazioni e che si suppone che molti di loro  siano musulmani,  non si possono adottare gli stessi toni con l’Islam e con il Cristianesimo?

E’ il famoso discorso vittimista: ah, poveri immigrati, ah, poveri musulmani, ah, poveri che subiscono la doppia pena di essere immigrati e musulmani, ex-colonizzati e nuovi indigeni del territorio in cui si trovano a vivere. Ecco la scuola sociologica che va per la maggiore oggi in Francia, corrente che ritengo di una miseria intellettuale ineffabile: una generazione che è cresciuta con i vari Bourdieu, Foucault e tutti questi piccoli maestri sessantottini pseudo-ribelli che hanno elargito le loro frustrazioni personali fino a farle diventare pensiero che concerneva tutta la società. Società che hanno diviso tra cattivi che dominano, sorvegliano e puniscono e buoni che sono stigmatizzati (ma che un giorno, ovviamente, si vendicheranno spezzando le loro catene) e che a partire da questa inezia binaria pretendono costruire una visione del mondo, la visione di un mondo migliore a tutti costi, dove “tutti avranno il diritto di esprimere la propria diversità”, dove “tutti avranno il diritto di spiegare che lei ha messo un velo perché  se lo merita” etc. Discorso vittimista, multiculturalista, differenzialista, che non fa altro che accusare la Repubblica, ignorando e non vedendo quello che minaccia  l’Islam stesso oggi-  se vuole nel futuro continuare a produrre una fede lucida, intelligente e pacifica..Quello che minaccia questa religione e ci minaccia, è il fatto che si confondano le sue regressioni di intolleranza e di integrismo con ciò che ci piace definire “il grido di sofferenza dell’oppresso universale”.

Si dice che ci siano 5 o 6 milioni di musulmani in Francia. Non si confonde il musulmano con la persona che proviene da una famiglia o da una cultura musulmana?

In effetti bisogna tenere a mente la differenza. Senno si rischia di cadere nella cosiddetta assegnazione di identità: si parte dal principio che una persona è musulmana e, a partire da questo assunto, cioè a partire spesso da una conoscenza mediocre dell’Islam, molto stereotipata, si proietta su questa persona tutto un insieme di clichés, di presupposti, di pregiudizi. E ci si rivolge immediatamente a questa, per il solo fatto che  ha la pelle olivastra o che ha un nome arabeggiante, dicendole “ma voi musulmani” oppure “ma come funziona, da voi musulmani” etc. Si rinchiudono così gli individui in un’ipotetica appartenenza, a priori, che a volte non corrisponde affatto al loro percorso e alla loro identità personale. E questo può ferire nel profondo perché giustappunto alcuni individui di origine musulmana hanno fatto lo sforzo di coltivare un rapporto molto personale con questa fede e con questa origine, di liberarsene, il che non significa rinnegarla ma trovare un rapporto proprio, particolare,  verso di essa.  Ecco ahimé come oggi troppi Francesi non musulmani rinchiudono i musulmani in stereotipi, generalizzazioni, idee precostituite, rischiando di incoraggiare il ripiego di alcuni in questa identità preconfezionata.

Un ateo di origine cattolica che festeggia Natale in famiglia è considerato  un cattolico? Un ateo di origine musulmana che festeggia l’Aïd in famiglia è considerato un musulmano?

Perché volersi definire cattolico o musulmano quando si è atei? Ai suoi occhi non ha né senso né interesse. E agli occhi dei credenti, un ateo è un ateo. Non può rivendicare di essere cattolico o musulmano. Può tuttavia rivendicare un’origine o una cultura cattolica o musulmana ma sentirà immediatamente il bisogno di precisare che se ne è emancipato. Per quanto riguarda me, in quanto filosofo, mi basta che mi dicano che sono musulmano per dire no, e basta che mi si dica che non sono musulmano per dire che sì, lo sono. Lo sono in verità? Come ogni filosofo degno di rispetto, sono soprattutto l’anima che dice no.