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Il conflitto internazionale getta le basi per la spartizione della Siria

Bandiera siriana Siria
Nessuna risoluzione unitaria sembra realmente all’orizzonte, e si concretizza sempre di più l’ipotesi di una divisione territoriale

Di Ghazi Dahman. Al-Arabi al-Jadeed (18/04/2017). Traduzione e sintesi di Federica Pretto.

La crisi internazionale in atto in Siria non farà cadere nessun regime,  non neutralizzerà nessuna rivoluzione, né porterà la Siria ad una soluzione pacifica di questa storica impasse. Un tale obiettivo è impensabile nel contesto delle attuali strategie internazionali, quando gli attori in campo non ci investono risorse o forze umane.

Di solito, la concezione di simili strategie – nei casi di un conflitto tra avversari di potenza equiparabile, ben bilanciato da una reciproca forza di dissuasione – avviene nella ricerca di un equilibrio delle sfere d’influenza e si traduce in una forma di divisione del territorio, come fu il caso per la Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale o per la Corea negli anni Cinquanta.

Gli sviluppi della guerra in Siria avvengono in un contesto in cui le diverse parti in gioco sono in concorrenza per il controllo politico delle varie regioni e per una stabilizzazione dei confini e degli assetti territoriali più vicina ai propri desideri. E se Assad, e Russia e Iran alle sue spalle, ha pianificato di impiegare le armi chimiche nell’operazione di pulizia etnico-religiosa contro gli abitanti sunniti della Siria occidentale, è stato per assumere il controllo della “Siria utile”; e se gli Stati Uniti hanno colpito l’aeroporto militare di Al-Shayrat è stato con l’obiettivo di indebolire le linee militari concorrenti site sul fronte vicino alla propria zona d’influenza nella Siria orientale, completando con la forza il disegno dei confini, da Manbij nel Nord fino al valico di Tanaf a Est.

Il principio per cui tutti in Siria si battono per proteggere i propri interessi sembra sia diventato il motore principale delle politiche regionali, usato dalle forze straniere per giustificare la loro implicazione nello scontro. Ma la cosa più importante nella mappa del conflitto siriano è l’esistenza di legami e di tessuti sociali, di tipo etnico e confessionale; questi costituiscono le possibili basi per un’eventuale spartizione e gli strumenti operativi per i progetti delle suddette forze esterne. Così, tutti combattono i siriani utilizzando altri siriani, la forza numericamente più importante al fronte.

Non sembra che le formule proposte come risoluzioni siano realizzabili. Al contrario appaiono come degli ostacoli posti dalle parti in conflitto: la Russia non accetterà in alcun modo di sacrificare Assad, colui che le ha assicurato dei vantaggi geopolitici; allo stesso modo, l’America non ha nessuna intenzione di accettare una dominazione russa sull’intero territorio siriano, né di perdere l’opportunità di una forte influenza nell’Est della Siria e nel Nord dell’Iraq.

Così la divisione territoriale della Siria è diventata una realtà e i conflitti in corso si concentreranno sulla definizione dei confini. Non è troppo presto per riconoscere questa realtà di fatto, che già quattro anni fa si annunciava nella forma di regioni autonome.

Oggi, il conflitto si è cristallizzato aggiungendo nuove complicazioni ad una situazione già complicata di suo: un miscuglio di scontri confessionali, etnici, regionali e internazionali.

In questo genere di conflitti, a nessuno interessa salvare il bambino, ovvero assicurare la protezione e l’unità del Paese. La Siria non ha altra madre che il suo popolo. Ma esso non può più affrontare nuove sfide, essendo già stremato dalla tentata rivoluzione contro il tiranno.

Ghazi Dahman è uno scrittore e giornalista siriano.

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