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Come Saleh ha ingannato i media e le istituzioni

Saleh Yemen

Di Abdulrahman al-Rashed. Asharq al-Awsat (25/10/2014). Traduzione e sintesi di Lorenzo P. Salvati.

Negli ultimi anni ho avuto modo di apprendere molto sull’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, abbastanza da capire che la sua totale assenza di credibilità è frutto di una politica di inganno e mistificazione. Per molto tempo Saleh ha disorientato gli americani, ingannato l’Iraq e la Siria, depistato gli stati del Golfo. Ma, soprattutto, ha cercato di raggirare i leader politici, partitici e tribali dello Yemen. Questa è stata l’epopea di Saleh, l’arte dell’equilibrismo politico, da lui stesso definita “danza sulla testa dei serpenti”. Una strategia che gli ha permesso di restare a capo di un Paese irto di contraddizioni e attori in competizione tra loro.

Dietro gli eventi drammatici e sorprendenti degli ultimi otto mesi c’è sempre la regia occulta di Saleh. Il gruppo armato degli Houthi ha conquistato con facilità la più grande città dello Yemen (Ibb, ndt) e le sue province limitrofe, incontrando scarsa resistenza da parte delle forze governative e locali. Gli Houthi non sono militanti di Daish (conosciuto in Occidente come ISIS); si tratta piuttosto di una milizia tribale e di un gruppo armato attivo su scala regionale, proveniente dal nord del Paese e spintosi fino all’estremo sud-ovest senza l’aiuto di alcun alleato. Voci non confermate testimoniano di numerosi saccheggi ad opera di miliziani Houthi.

L’opera di mistificazione è stata facilitata dal vecchio entourage dell’ex capo di Stato. False notizie sono state fatte circolare circa una presunta intesa tra gli Houthi e l’attuale presidente ad interim Abd Rabbo Mansur Hadi, che prevedeva la consegna di Sana’a e di altre città ai ribelli. Altre voci hanno rivelato l’esistenza di un accordo tra Sauditi e Houthi nel quadro di un processo di riconciliazione regionale con l’Iran, mentre una terza campagna diffamatoria ha accusato l’inviato internazionale ONU di collusione.

Questi resoconti sono assolutamente insensati. Il presidente in carica non è certamente la persona più indicata per la gestione dell’acuta crisi del Paese, tuttavia non commetterebbe mai un suicidio politico consegnando la capitale ed altre città chiave ai ribelli. È anche impensabile che l’inviato delle Nazioni Unite prenda accordi alle spalle delle forze politiche. A mio avviso, quando c’è un problema in Yemen, bisogna sempre guardare a Saleh poiché c’è il suo zampino dietro ogni crisi. È emerso infatti, in un secondo momento, che le notizie erano state fabbricate ad arte allo scopo di rassicurare gli alleati, disturbare gli avversari e guadagnare tempo per controllare il resto del Paese. Saleh è un capo di Stato deposto, ma continua a guidare la vecchia classe dirigente. Larga parte dei settori militari e di difesa sono sotto la sua influenza, dal momento che l’ex presidente ha già tentato in passato di rovesciare l’attuale governo e continuerà ancora a sabotarlo, nella speranza di tornare al potere.

Saleh potrebbe tuttavia non sapere che danneggiando lo stato attuale delle cose rovina il futuro di suo figlio Ahmed, da molti considerato una brava persona e un potenziale leader. In due anni di transizione lo Yemen è diventato uno stato democratico in cui il partito di Saleh potrebbe tornare al potere, in quanto forza più grande e meglio organizzata del Paese, in grado di proseguire il suo operato grazie al consenso dei mediatori.

La situazione è oramai chiara. Saleh sta cercando di logorare il nuovo regime per ritornare all’era pre-febbraio 2012. Grazie all’aiuto iraniano ha strumentalizzato gli Houthi al fine di perseguire i suoi interessi, intimorire gli influenti vicini sauditi e presentarsi in un secondo momento come salvatore del Paese. L’inganno è ingegnoso, ma le bugie hanno le gambe corte e la verità è venuta a galla. Saleh è oramai un libro aperto.

In Yemen operano forze interne ed esterne di primo piano. Tra le potenze estere vi sono l’Arabia Saudita, gli stati del Golfo e gli Stati Uniti, questi ultimi con l’intento di tenere d’occhio i centri di reclutamento di Al-Qaeda, divenuti focolai importanti dell’organizzazione terroristica durante il regno di Saleh. Un’altra forza cruciale è rappresentata dall’ONU e dal suo delegato Jamal Benomar, il quale ha reso possibile la transizione graduale verso il sistema presidenziale, scongiurando lo scoppio di una guerra civile yemenita come quelle a cui si è assistito in Libia e in Siria.

Lungi dal ringraziare il Signore per essere scampato ad una morte certa e avere ottenuto una successione onorevole, capace di garantirgli diritti quali la partecipazione alla vita partitica e la possibilità per la sua famiglia di occupare posizioni governative, Saleh continua tuttavia a complottare e a ordire trame oscure dalla sua dimora a Sanaa, pur sapendo il tipo di sorte occorsa a Gheddafi e alla sua famiglia. Ma la storia non finisce qui.

Abdulrahman al-Rashed, ex caporedattore di Asharq al-Awsat, è il direttore generale di Al-Arabiya.

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