Con altre parole Israele Palestina

“Come il vento tra i mandorli” di Michelle Cohen Corasanti

come il vento fra i mandorli corasanti“Come il vento tra i mandorli” è il primo romanzo di Michelle Cohen Corasanti, avvocatessa americana specializzata in diritti civili, di origini ebraiche.

È la storia narrata in prima persona dal protagonista Ichmad e della sua famiglia in uno spaccato temporale che va dalla Nakba (1948) fino ai giorni nostri.

Ichmad vive in un villaggio della Palestina con la sua numerosa famiglia e la vita scorre tranquilla fra la scuola e i giochi con i suoi numerosi fratelli e sorelle. Ma un giorno all’improvviso la prima di una lunga serie di tragedie si abbatte sulla famiglia Hamid, quando una mina fa saltare in aria, uccidendola, la piccola sorellina Amal. È il primo episodio che segna non solo le tristi vicende di una delle tante famiglie palestinesi a causa dell’invasione israeliana, ma anche la divisione all’interno della famiglia di Ichmad, da un lato con il protagonista che insieme al padre sembra più accondiscendente verso una soluzione pacifica del conflitto e dall’altro con la madre e il fratellino Abbas che invece sono pieni di odio e rancore verso gli ebrei e sono convinti che l’unica strada da percorrere per la liberazione è quella della rivolta armata.

La vita dei nostri protagonisti subisce un brusco shock quando Baba, il padre, viene ingiustamente arrestato con l’accusa di terrorismo e rinchiuso in un carcere israeliano per 14 anni. Ichmad sa che suo padre è innocente e si fa carico del sostentamento della famiglia, lavorando tutto il giorno e ritagliando un po’ del suo tempo per lo studio delle scienze e della matematica, materie di cui è profondamente appassionato e per le quali è particolarmente portato. Ichmad non perde la speranza di tirare il padre fuori dalla galera, anche se tutto sembra ostacolare il suo desiderio. Il conflitto fra Ichmad e suo fratello Abbas – metafora della contrapposizione fra pace e guerra – si acuisce fino alla frattura quando Ichmad, vincendo una borsa di studio, si trasferisce all’Università di Gerusalemme e inizia un rapporto intenso con il professor Sharon, convinto difensore della causa israeliana e avversario del popolo palestinese. Per Abbas il fratello diventa un traditore che si allea e collabora con il nemico. Ma la tenacia di Ichmad porterà il professore a riconoscere il valore degli arabi come persone, al di là della loro appartenenza religiosa, e a rinnegare il suo passato di crudele militare, coinvolto in numerose azioni di tortura nei confronti dei palestinesi.

La storia di Ichmad e della sua famiglia proseguirà in una lunga serie di avvenimenti tutti contraddistinti dalla contrapposizione fra ebrei e palestinesi, tutta la vita del protagonista sarà alla fine proiettata alla causa del dialogo quale strumento per giungere alla tanto sospirata pace. E l’autrice costruisce la trama e soprattutto i dialoghi di questo avvincente romanzo proprio sulla possibilità di superare il conflitto attraverso la non violenza e il dialogo fra le parti, piuttosto che ricorrendo alle armi.

Alla Cohen va riconosciuto il merito di aver raccontato una storia dalla parte dei palestinesi, pur essendo lei di origini ebraiche e appartenendo al potente mondo economico degli ebrei americani.

La sua esperienza di vita in Israele durata sette anni le ha permesso di vedere con i propri occhi gli effetti del conflitto, dell’invasione da parte dei coloni e della militarizzazione dei territori palestinesi da parte dell’esercito israeliano. E questa testimonianza l’ha portata ad abbracciare la causa del dialogo fra palestinesi ed israeliani che cerca di perorare attraverso strumenti quali la letteratura, l’arte, la musica.

In tutto il romanzo si respira questo anelito pacifista che cresce proprio nei momenti in cui la barbarie israeliana sembra prendere il sopravvento sugli inermi palestinesi la cui unica colpa è quella di abitare la loro terra.

“La cooperazione fra palestinesi ed israeliani è l’unica vera speranza per la pace. La storia ha dato prova del fatto che un popolo non può raggiungere sicurezza a scapito di un altro. Dobbiamo smettere di lottare e cominciare a costruire”. Il migliore auspicio. Fino ad ora, purtroppo, una reale illusione.