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“Cinema Jenin”, tra speranze e realtà


di Bernd Sobolla (Qantara.de 04/07/2012). Traduzione di Claudia Avolio

 

Nel suo documentario “Cinema Jenin”, il regista Marcus Vetter ritrae la rinascita di una sala per gli spettacoli demolita nella West Bank. Ma un cinema non è abbastanza per ritornare alla normalità…

 

“Cinema Jenin” non sarebbe mai stato realizzato se non fosse per il film “Il Cuore di Jenin”. Quest’ultimo racconta la storia del palestinese Ismail Khatib, il cui bambino di 11 anni è stato ucciso con un’arma da fuoco da parte di un soldato israeliano proprio a Jenin. Era il 2005 e il padre del bambino, in uno sforzo vòlto a spezzare la spirale d’odio, decise di donare gli organi di suo figlio ai bambini israeliani. Nel 2008, Marcus Vetter e il suo partner Leon Geller accompagnarono Khatib nel suo viaggio attraverso Israele, dove l’uomo potè incontrare i ragazzi che avevano ricevuto gli organi di suo figlio. Il risultato fu “Il Cuore di Jenin”, film che vinse il premio Cinema per la Pace nel 2009 e il premio German Film nel 2010.

 

La sera del 2008 in cui la pellicola veniva proiettata nella città di Jenin, Vetter e Khatib stavano camminando verso la cittadina e si imbatterono in un vecchio cinema. Era stato chiuso nel corso della prima intifada – la rivolta palestinese – nel 1987 e per tutti quegli anni chiuso era rimasto. Allora a Vetter venne l’idea di ricostruire Cinema Jenin. “Quando sono tanti anni che fai il regista, ti rendi conto che un film può smuovere le coscienze del pubblico, ma tornando coi piedi per terra, sembra che poi nulla cambi,” è il commento di Vetter. Insieme a quel padre che aveva compiuto il gesto pacificatore donando gli organi di suo figlio, e aiutao dal traduttore Fakhri Hamad, il regista decise di intraprendere l’ambizioso progetto culturale, le cui riprese si devono a Aleksei Bakri e Mareike Müller.

 

Un piccolo segnale di speranza

 

“C’erano molti cinema moderni in Palestina. La gente faceva la fila per prendere un posto,” ci viene detto in una delle prime scene di “Cinema Jenin”. “Le donne indossavano minigonne al posto dei loro veli. Immaginate come sarebbe se si tornasse a vedere film a Jenin. Insieme, abbiamo un sogno”. All’inizio, però, quel sogno era sepolto sotto 10 centimetri di polvere. I muri cadevano a pezzi, e le molle spuntavano dai vecchi sedili. Alcuni raggi di sole brillarono attraverso i vetri infranti, come riflettori su una scena senza speranza…

 

Gli spettatori vedono due piccioni spaventati dalla telecamera che prendono il volo: un piccolo segnale di speranza. Ma i lavori di ristrutturazione si sono dimostrati molto ardui. E quando il regista si è rivolto a figure influenti di Jenin, chiedendo loro se avrebbero contribuito al progetto, “No, non credo proprio…”, è stata la risposta che ha ricevuto. Ma il regista è andato avanti con caparbietà, nonostante Jenin fosse considerata una roccaforte del terrore, per via dei suoi campi profughi da cui sono venuti fuori molti attentatori suicidi.

 

Coi fondi donati dall’Autorità Nazionale Palestinese, dal ministero degli Esteri tedesco e da privati, il regista è stato in grado di andare avanti col suo progetto. Volontari sono giunti da tutto il mondo per aiutare nella costruzione del cinema.

 

Resistenza dall’interno

 

I contrasti erano ancora molti. Anche se in genere i palestinesi hanno aiutato volentieri le operazioni per il progetto, non era politicamente sufficiente per loro. Il fatto è che alcuni temevano che un nuovo cinema avrebbe dato la falsa impressione di una normalità che in realtà non c’era. Vetter si trovò davanti molta diffidenza verso le cosiddette “attività di pace”, così il progetto è stato classificato come “un grande progetto culturale”, piuttosto che “un cinema per la pace”. “Volevamo costruire un cinema a Jenin che restituisse ai residenti la loro dignità”, spiega il regista, “Gli israeliani spesso vedono i palestinesi come culturalmente arretrati, cosa che in realtà non sono”. E poi continua: “Quando il progetto è finito, e il cinema ha la sua anima, allora può rivelarsi davvero un grande successo”.

 

Il film mostra le costanti battaglie che il team ha dovuto affrontare nella realizzazione del suo inusuale progetto. I soldi sono stati spesso un problema, e molte persone che si dicevano i legittimi proprietari dell’edificio facevano ognuno la sua richiesta al riguardo. Il gruppo ha attraversato una vera giungla burocratica piena di diffidenza e preconcetti. Quando nel 2008 Israele attraverò la Striscia di Gaza, sorse una domanda cruciale: Cinema Jenin dovrebbe diventare uno strumento di resistenza, o ciò che più conta è in fondo solo mettere su una buona sala cinematografica?

 

Una scena mostra Cinema Jenin con gli spettatori che possono finalmente entrarvi, quando nel 2010 viene inaugurato. Zakaria Zubeidi, a capo della coalizione Al-Aqsa Martyrs’ Brigades, presenzia la cerimonia d’apertura. Nel suo discorso, ci tiene a dire che porta sempre la sua pistola con sé, anche al cinema – immagine assai lontana dal “lietofine” che la crew cinematografica aveva sperato. Otto mesi più tardi, Juliano Mer-Khamis, a capo del Freedom Theatre Jenin e sostenitore del progetto, è stato assassinato. La sua morte è stata presa come un altro segnale del fatto che la normalità non è ancora a portata di mano.