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Chi c’è dietro gli attacchi in Egitto?

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Di Abdulrahman al-Rasheed. Asharq al-Awsat (05/07/2015). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.

Gli eventi della scorsa settimana hanno impedito agli egiziani di celebrare il primo anniversario del generale Abdel Fattah El Sisi alla carica di presidente del Paese. Infatti, l’assassinio del procuratore generale, Hisham Barakat, ucciso in seguito all’esplosione di un’autobomba al centro del Cairo, e i successivi attacchi nel nord del Sinai hanno diffuso un certo allarmismo in merito alla sicurezza del Paese. È questo l’inizio di una nuova guerra?

Se consideriamo la natura della società civile egiziana, ci rendiamo conto che la violenza in uno stato come l’Egitto non può trionfare. Ne consegue che lo Stato di certo non sarà biasimato nel caso di una campagna contro i gruppi di opposizione armata o di altri ad essi affiliati, specie se i responsabili saranno mandati alla forca.

Nel corso di 50 anni, le varie fazioni armate non hanno mai vinto una battaglia in Egitto. Dunque, i gruppi jihadisti salafiti o i Fratelli Musulmani falliranno nella lotta al potere. Quanto accaduto di recente, acquista valore e importanza poiché testimonia la presenza di gruppi e poteri allineati all’opposizione egiziana armata che tenta di rovesciare l’attuale regime, spingere  verso manifestazioni di piazza e apportare un cambiamento.

Ciò potrebbe riuscire in altri Stati, ma non in Egitto, dove vi troviamo antiche istituzioni, come soprattutto l’esercito. I fatti hanno dimostrato che solo l’esercito è in grado di controllare lo spazio pubblico e, allo stesso tempo, nessun altro potere potrà conquistare il Sinai o almeno una sua parte. Inoltre, da notare che in Egitto non vi sono poteri separatisti e settari che operano, a livello regionale e interno, come in Iraq, Siria e Sudan.

Nel corso della sua storia, l’Egitto ha dato prova della sua unità, frutto della fermezza delle forze armate. Tale coesione esclude la possibilità di un cambiamento nel Paese, e chi scommette su di esso riesce solo ad infastidire il governo, recar dolore ai cittadini, danneggiare l’economia e i mezzi di sostentamento del popolo.

Non sorprende allora la severità che contraddistingue il governo quando si parla di opposizione. Il sentimento generale è che quanto sta accadendo non rientra in una semplice attività terroristica condotta da squilibrati a loro volta guidati da altri alla conquista del potere. Al contrario, siamo dinanzi ad una lotta alla sopravvivenza e questo non esclude la persecuzione degli estremisti da parte del governo oltre i propri confini.

Nel frattempo, la situazione regionale appare alquanto instabile e rappresenta una minaccia per i suoi vicini. Tra questi, la Libia, che apre le porte agli estremisti ed è divenuta centro di traffico illegale di armi verso l’Egitto, la Tunisia e l’Algeria.

Abdulrahman al-Rasheed è direttore generale per il canale televisivo Al-Arabiya ed ex caporedattore del quotidiano Asharq al-Awsat.

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